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Recensione : LEIGHTON KOIZUMI & TITO AND THEE BRAINSUCKERS – POWER HITS!

LEIGHTON KOIZUMI & TITO AND THEE BRAINSUCKERS – POWER HITS!

Con colpevole ritardo (ma meglio tardi che mai) parliamo della raccolta, pubblicata sulla label bolognese Improved Sequence Records, “Power Hits!“, la cui uscita era stata annunciata per l’agosto 2021 e poi rinviata al 2022: meglio tardi che mai, no?

La succulenta compilation, che presenta ben ventiquattro brani, raccoglie materiale registrato in studio da Leighton Koizumi, autentica leggenda vivente del “nostro” rock ‘n’ roll (frontman di Gravedigger V e, soprattutto, Morlocks) la cui “vita spericolata” andrebbe scritta e raccontata in un libro, a questo giro coadiuvato dal combo garage punk teramano Tito and thee Brainsuckers, che per un abbondante decennio è stato compagno di avventure e complice dell’incredibile storia di Koizumi, risollevandogli la vita (letteralmente) con una sentita amicizia fraterna e facendo da spalla per il suo ritorno in pista (che fruttò, insieme a concerti in giro per l’Italia e momenti memorabili per la fertile scena R’N’R di Teramo, anche l’album “When the night falls” nel 2004) dopo lo split coi Morlocks avvenuto a fine anni Ottanta (poi ritornati in pianta stabile nel 2015) che segnò un periodo travagliato e oscuro per il cantante, alle prese con una severa dipendenza da droghe pesanti e problemi con la giustizia che lo fecero allontanare dalle scene musicali, scomparso dai radar (è stato egli stesso a dire di essere finito in Messico) al punto che per diversi anni fu anche creduto morto ma, dopo essere “back in business” con l’ensemble californiano, Leighton è risorto dall’oltretomba e sta vivendo una sorta di seconda giovinezza, col passare degli anni che non ha affatto scalfito ma, anzi, ha migliorato le sue innate doti di carismatico animale da palcoscenico, conquistando sul campo (e sui palchi) la meritata “palma” di alter ego più credibile e meno patinato di Iggy Pop assegnatagli da noi sfigati. Anzi, “born losers“.

Le canzoni di “Power Hits!“, che di “When the night falls” ne rappresenta una versione espansa, tra inediti e cover, sono state incise in diverse sessioni, in un periodo compreso tra il 2003 e il 2013, e possiedono il grande pregio di non annoiare mai l’ascoltatore, nonostante i settantacinque minuti di durata, è un disco di energico, variegato e sfaccettato rock ‘n’ roll nella sua accezione più verace e primordiale, uno di quegli album che puzzano di giornate passate a provare in sudicie cantine adibite a studi di registrazione e nottate trascorse a suonare e sbronzarsi nei piccoli locali abruzzesi (e non) insieme a Tito Macozzi e ai suoi scagnozzi. Uno di quei long playing che rapiscono i timpani e li tengono incollati all’ascolto dall’inizio alla fine delle danze, con conseguente giovamento emozionale. Detto delle (ottime) prove garage rock autografe “Hold on“, “I know you cried“, “I was alone“, “Outside“, la strumentale “Supernova” e  “Teenage Thugs“, in queste quattro facciate viniliche c’è anche spazio, tra le rielaborazioni, per vere e proprie chicche come le riletture acustiche e atmosferiche di “Signed D.C.” di Arthur Lee e i Love e “If you could read my mind” di Gordon Lightfoot (recentemente scomparso) con un Koizumi in stato di grazia che dimostra di avere anche uno spessore artistico più profondo di quanto voglia far lasciare trasparire dalla sua elettrica aura di ghepardo di strada col cuore rigonfio di napalm. E così è possibile ascoltare il frontman cimentarsi (bene, o comunque con una pronuncia migliore di tanti finti sovranisti “patriottici” autoctoni che inneggiano all’italianità e poi non sanno declinare neanche il verbo essere) anche nella nostra lingua, rifacendo “No No No” dei Sorrows, o ripescando una “Get out of my life, woman” dell’artista soul/funk/R’N’B Lee Dorsey, e poi nel giusto tributo pagato ai classici del garage rock/punk “I need you” dei Kinks, “No fun” degli Stooges, “Teenage head” dei Flamin’ Groovies, “99th floor” dei Moving Sidewalks, “Just a little bit” dei Purple Hearts (australiani, da non confondere con la mod revival band inglese) o “Milkcow Blues“, l’omaggio al Sixties garage rock olandese (“Cry in the night” e “Nightmares” dei Q65, “Touch” e “You mistreat me” degli Outsiders) ma basterebbero anche solo le riproposizioni, assolutamente trascinanti (con Tito e sodali particolarmente on fire) del cavallo di battaglia “Born Loser” di Murphy & The Mob, “Good times” dei Nobody’s Children e “No friend of mine” degli Sparkles per farci spiccare un salto dalla sedia e ballare e saltare e cantare a squarciagola, lasciandoci trasportare dal flusso.

Un disco da avere a ogni costo, e un gran colpo per l’etichetta emiliana, che ultimamente ha anche ristampato altri titoli dei Morlocks (in collaborazione con la Go Down Records) ma mettere le mani su “Power Hits!” equivale a possedere una reliquia da venerare (insieme a Leighton Koizumi, nostro santo protettore laico) scandita da profane e lucenti nuggets che risplendono dalle fogne delle periferie ai margini del music biz, testimoni del percorso di una delle parabole più sorprendenti di quella scuola di vita che si chiama rock ‘n’ roll.

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