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Recensione : Muddy Worries Fucked Up

la vera forza dei Muddy Worries è quella di essere poliedrici, di saper contaminare le loro canzoni con varie influenze restando assolutamente credibili.

Muddy Worries Fucked Up

Innanzitutto mi si permetta un inciso: i Muddy Worries hanno un nome magnifico, quel tipo di nome che avrei scelto per la band che non ho mai avuto, quel tipo di nome che non mi sarebbe mai venuto in mente.

Ma ovviamente il loro essere bravi e peculiari non si ferma qui, è anzi rafforzato dal saper spaziare fluidamente fra diversi tipi di suoni mantenendo inalterata la barra della qualità e della credibilità. Questo loro ritorno, dopo un periodo piuttosto ampio di silenzio, è la più tangibile delle conferme, nonostante qualche novità: per la prima volta la band registra le proprie canzoni su di un 12″ e ritengo sia, indubbiamente, il formato a loro più congeniale.

Ma veniamo ai brani partendo ovviamente dal lato A che si apre con This Man Is Back e Short Shot che confermano i nostri come gruppo più cryptiano o intherediano dello stivale – la prima è una discreta sassata sui denti, la seconda un pelo più ariosa, ma giusto un pelo.

Fucked Up, grazie ad un grande lavoro chitarristico, suona quasi desertica, sperduta in un proprio universo mentre Johnny Upright è un sorprendente incrocio tra il paisley underground dei Dream Syndicate ed il noise inglese dei My Bloody Valentine, come avrebbe detto il compianto Guido Angeli “provare per credere”.

Il lato B viene inaugurato da Twenty Years After 2000  un bel pezzo quadrato di roots/punk molto, ma molto rock’n’roll, seguono Heartbeat un brano dalle cadenze piuttosto surf, ma per niente solari; What Did I Do Wrong With You? la canzone più “pop” del lotto, forte di una melodia inattaccabile e per chiudere la cover addizionata rock di In A Hole dei Jesus and the Mary Chain, cantata assieme a Ferruccio Quercetti dei Cut.

Ma, me lo si lasci dire, è quando la band si “sporca le mani” con il blues che vengono fuori i due pezzi veramente fuori misura del disco, le due gemme, vale a dire la paludosa e splendida Higher And Higher e la spenceriana, nel senso di Jon quando era ancora motivato, No Fiction.

Come dicevo inizialmente la vera forza dei Muddy Worries è quella di essere poliedrici, di saper contaminare le loro canzoni con varie influenze restando assolutamente credibili.

Insomma bello il disco e bella la sua copertina ed io, che conduco nel mio piccolo una rubrica autarchica pure in radio, vi dirò che questo terzetto bolognese ha caratura che travalica tranquillamente i patri confini.

Muddy Worries

Recensione: Muddy Worries – Third Degree

Recensione: Muddy Worries – Omonimo

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