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Recensione : Gab De La Vega – Beyond Space And Time

Gab De La Vega attraversa la notte delle sue visioni elettroacustiche fidando nel proprio estro compositivo e generativo di 11 canzoni destinate a coprirne la terza prova sulla lunga distanza - 35 minuti circa - a nome Beyond Space and Time.

Gab De La Vega – Beyond Space And Time

Gab De La Vega attraversa la notte delle sue visioni elettroacustiche fidando nel proprio estro compositivo e generativo di 11 canzoni destinate a coprirne la terza prova sulla lunga distanza – 35 minuti circa – a nome Beyond Space and Time.
Le cose pare vadano per il verso giusto ascoltando le liriche che fioccano dense di power and feeling, girellando nei pressi del genere american, e parlo della struttura intraprendente predisposta al viaggio, sistemata entro panorami urban rock e desertici passaggi traversati da new folk e stivali indie, da cappelli western di pop rock singers e cow-boys delle lande sconosciute che all’alba si presentano alle porte delle metropoli degli immensi States, chiaramente dopo aver macinato miglia e miglia a bordo di un infangato ma moderno blue sky pick-up tutto cromato, quando il sole sta sorgendo e ammanta di tenue arancione azzurrino l’orizzonte e la città brilla ancora dei lontani sparuti scintillii elettrici.

La ricerca sonora è squisita quanto la prospettiva avviata dall’esterno, mentre scruta l’interno, addentrandosi gradualmente nel focus preposto per poi superarlo, spingendo l’ascolto nel fondo di una poetica fatta di sentimenti e angolazioni che hanno il pregio di apparire sincere ad ogni song, tale lo è ciascuna, dotata di personale tocco ottimamente propenso a concedere fiducia al percorso compiuto; le parole riescono rinnovate dalle pennate delle chitarre ed altresì vissute dall’ugola di derivazione a stelle e strisce, mixata talvolta col piglio anglosassone.

C’è spazio per molto di concreto nella dinamicità del tempo trascorso ad ascoltare i pezzi dell’album (vedere l’intonata copertina per farsi una succosa idea del materiale sonoro presente), che tiene compagnia sfruttando quella motilità di cui sopra, tendente sì a far riflettere, però senza esitare di infiammare il carburatore sonico di ottima benzina, battendo spesso, e anche duro, la pista del vigoroso ritmo plasmato dallo stile impeccabile di Gab De La Vega, consentendo molto facilmente di assecondare il titolo del disco.
Così è lo starter Phoenix From The Flames che sussulta emozioni viscerali strappando il velo dei Jane’s Addiction e trottando lungo melodie Screaming Trees,
rimanendo appresso inchiodati alla tagliente percussione ritmica di Story Of A Human Being, cioè il quadrante della bussola, che fa dire al singer: I was simply trying to live my life/ looking for a place I could call home.

Pendant ideale è la sucessiva YYZ: destination still unknown/going where my feet will take me/ lost in a maze of wrong turns; confessione di un’anima indomita nel suo vagare fruttuoso. Il tono è propositivo, baluginante e intiepidito dalla calda tastiera.


La svolta di Perfect Texture è quasi di un’urgenza vitale, uscire da una prigione di disfunzioni confusionali: What is real and what is fake?/ what guise will you wear today?/ a perfect – texture/ built from nothing – built for nothing; la song contiene ottimi riverberi per una speed track, attestandone la fiera lotta intestina. Bello il violino in chiusura ad opera del polistrumentista e compositore Nicola Manzan (Bologna Violenta), che ivi suona anche la viola.

Rosary Of Days, che a me piace tantissimo, decanta in aria di sciamanesimo indicando il punto di rottura e l’azione cosciente di indirizzo futuro: there must be something more/ than a rosary of days with my name/ the only proof at some point I was there; il suo andamento classic rock apre a una scioltezza ritmica, quindi step by step scioglie i coaguli e si fluidifica nella ritmica su cui gravano i cori, eseguendo un grande assolo di elettrica sotto lo strimpellio in sordina del banjo (mi pare di udirlo)!

 

Bomb Inside My Head rockeggia a tutto spiano integrando una sensazione Kinks (il riff di Mr. Churchill Says): Today’s all mine/ ‘cause tomorrow doesn’t look like/ I’m completely out of control. La pioggia di colori dopo l’esplosione la si ritrova nella quiete cosmico-naturalistica di As One, ricordandoci di che pasta è fatto il nostro Gab, che affina i sensi dopo la mutazione detonante, apponendo il mirabile personale maglio filante alla timbrica della lirica.
A cavallo di We’ve Already Seen All This si rotola giù a ruota libera sopra i cliché degenerativi che incatenano l’uomo alle sua solita solfa: mai impara, mai cambierà.
La melodia è il traino esuberante di un gioiellino sonoro inebriante, portando linfa The Police nei cori e minime inflessioni nineties nel suo perimetro ideale sopravanzato.

Words Unspoken e Something’s Not OK regalano ancora monili sonori piacevolmente folk rock (il primo) e british rock (il secondo), decantati da una voce d’impatto.

Chiude I Still Believe con gran gusto di melodia e speranza: I still believe/ in you, in the future/ I still believe/ you’ll do what’s right/ in the future/ it all comes down to this, you see/ it all comes down to this.

 Grinta e sentimento permeano soddisfacentemente la scena della provincia bresciana – già avvezza a prove in odor di musica americana – con un album di possente presenza. Gab De La Vega sembra lanciato alla conquista paradisiaca dei mercati discografici di mezzo mondo, avendone già calcato di quella parte del pianeta innumerevoli stages, in solo e con la band di turno.


Registrato e mixato da Simone Piccinelli al La Buca Recording Club di Montichiari (BS) e masterizzato dall’ingegnere del suono nominato ai Grammy Jack Shirley (Deafheaven, Oathbreaker, Jeff Rosenstock, Sun Valley Gun Club, Gouge Away) presso gli Atomic Garden Recording Studios di Oakland, in California, l’album è stato distribuito tramite Epidemic Records e la tedesca Backbite Records.
Ad accompagnare Gab De La Vega in alcune promo date a febbraio, in assetto full band, ci saranno Simone Piccinelli (Plan De Fuga, Paletti, Moon in June), Giorgio Marcelli (Moon in June, Monk), Marco Cellini (The Smashrooms).

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