Qualche sera fa, chi vi scrive è incappato, suo malgrado, nello zapping televisivo (pratica assolutamente sconsigliata: la televisione è una droga pesante che annienta i cervelli e le coscienze peggio dell’eroina, una delle armi di distr-A-zione di massa più dannose che esistano e più usate dal Potere, da settanta anni a questa parte, per tenere buono il popolino elargendo panem et circenses) e, in particolare, ha avuto la sfiga di imbattersi in quei concertoni-carrozzoni patrocinati dalle radio mainstream generaliste che propinano, in prima serata, le cosiddette “hit” estive che da diversi anni, in maniera puntuale come le tasse, arrivano a infestare l’etere mediatico nella bella stagione con il loro insopportabile inquinamento acustico: un indigesto pastone in cui, a farla da padrone, è il monopolio di playback e autotune, tra sedicenti popstar-rapper-trapper in passerella che si mettono in mostra e in vetrina a fare il compitino assegnato loro dalle major discografiche e dai contratti pubblicitari, conduttori imbarazzanti e piazze piene di adolescenti lobotomizzati urlanti che ripetono a pappagallo i testi insulsi-demenziali dei “tormentoni” proposti dai vari “artisti” che fanno finta di esibirsi dal vivo: un baratro musicale e culturale che, del resto, ben rappresenta e rispecchia il declino antropologico e degrado morale in cui la società italiana è precipitata da decenni, roba che il “Festivalbar”, a confronto, sembrava Glastonbury.
Bene (si fa per dire) dopo questo pippone introduttivo, converrete sul fatto che in quel tipo di contesto “musicale”, tossico per l’udito e nocivo per l’anima, sicuramente non ascolterete mai i Vibravoid, prolifica band neopsichedelica/acid rock tedesca che, dal 1997 a oggi (anche se le origini risalgono alla fine degli Eighties, quindi sarebbe in pista da tre decenni) si prodiga in una incessante attività di pubblicazione di ottimo materiale sonoro tra singoli, Ep, dischi registrati dal vivo, mini-album e, soprattutto, studio album (non disdegnando anche la lingua italiana e collaborazioni iconiche come quella col compianto frontman dei Seeds, Sky Saxon, con cui registrarono un disco poco prima della sua scomparsa) e proprio quest’ultimo formato lungo è il soggetto principale di questo articolo, perché a fine agosto i nostri hanno fatto uscire “We cannot awake“, sfondando il muro dei venti full length ufficiali (dovremmo essere arrivati a ventidue) – a testimonianza della loro incessante vena creativa – che arriva a un solo anno di distanza dal precedente Lp “Edge of tomorrow“.
Il trio di Düsseldorf (composto dal frontman e chitarrista Christian “Doctor” Koch, coadiuvato da Dario Treese al basso e tastiere e Frank Matenaar alla batteria) non lascia nulla al caso, curando ogni release con particolari artwork che si richiamano all’iconografia della cultura psichedelica/hippie e rievocano i manifesti-poster dei concerti acid/blues/psych/space rock dei Sixties (anche dando vita a festival pysch) e proprio il periodo compreso tra la seconda metà degli anni Sessanta e l’inizio dei Seventies rappresenta il principale fulcro ispirativo del gruppo, ispirato dal flower power, dal krautrock teutonico, dai Pink Floyd Barrettiani (e dai light shows dell’UFO club, ripresi da Koch e soci ai loro concerti) Silver Apples, Strawberry Alarm Clock, Electric Prunes, Byrds, gli stessi Seeds, i CAN, ma nel loro sound si fa anche uso di chitarre fuzzate e organi Farfisa, costruendosi un fedele zoccolo duro di fan e sostenitori, e riprendendo un discorso underground in chiave beat e “Neo-kraut” (rifutando l’appellativo “stoner rock band”) in un periodo – fine Ottanta/inizio Novanta del secolo scorso – in cui il krautrock e il rock psichedelico non erano più considerati profeti in Patria (soprattutto nella loro città, e la ricerca di vecchi vinili di musica psichedelica era un’attività di nicchia, quando tutto lo scibile umano in musica non era ancora alla portata di tutti e acquistabile su internet con pochi “click”, come invece accade oggi) mentre in UK aveva generato eccellenti eredi (corretti in salsa Velvet/Lou Reed) come gli Spacemen 3 e dall’altro lato dell’oceano – qualche anno più tardi – i Brian Jonestown Massacre.
I Vibravoid hanno presentato “We cannot awake” (uscito su Tonzonen records) come “la colonna sonora perfetta per la legalizzazione della cannabis-THC“, creando sei brani che dipingono paesaggi sonori più stonati di un trip sotto effetto dell’LSD, con le componenti acid/fuzz/psych ancora predominanti, e allo stesso tempo facendo risaltare maggiormente la struttura, la melodia, i testi e la produzione dei pezzi. L’aggressiva dinamicità dell’opener “Get to you” è una cavalcata dark che quasi sconfina nel post-punk di reminiscenze vocali à la Andrew Eldritch/Sisters of Mercy e uno di quei brani perfetti da mettere su quando si è in austostrada, specialmente di notte; “Nothing is wrong” e “A comment of the current times” combinano l’amore per i Byrds con il motorik sound della loro Düsseldorf, “The end of the game” è psichedelia fuzzata a tutto spiano, tra echo effects e vocals à la Jesus and Mary Chain, mentre la psych ballad malinconica/distopica “On empty streets” chiude il lato A. La mastodontica title track (definita nella press release del disco, forse in maniera un po’ ridondante, “la In a gadda da vida della Generazione X”) occupa tutto il lato B coi suoi venti minuti di durata, in un’atmosfera lisergica imbevuta di accelerazioni, frenate, divagazioni, chitarre acide e in backwards, space rock, elettronica, fuzz, riverberi e samples vocali.
La band tedesca continua orgogliosamente a gravitare nel sottobosco rock ‘n’ roll europeo con una inscalfibile devozione verso un universo rétro-futuristico fatto di tappeti sonici al sapor di stricnina, frequenze interstellari, psilocibina e funghi magici. Integralisti, ma allo stesso tempo outsiders e protagonisti di un “revisionismo contemporaneo” che li ha portati a forgiare una formula personale che integra una ricerca sonora aggiornata al presente con la rielaborazione di mondi artistici (garage rock, psichedelia, acid rock, fuzz rock, krautrock) che hanno oltre mezzo secolo sul groppone. “We cannot awake” è un viaggio cosmico che esplora le profondità dell’esistenza umana, tra la paura dell’ignoto e lo scorrere inesorabile del tempo che crea un senso di angoscia e pericolo perché, appunto, non ci è rimasto molto tempo. E allora, non sprecatelo ascoltando musicademmmerda, ma godete e diffondete il verbo dei Vibravoid.
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