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Recensione : BRIAN JONESTOWN MASSACRE – THE FUTURE IS YOUR PAST

BRIAN JONESTOWN MASSACRE – THE FUTURE IS YOUR PAST

Lo aveva promesso a tempo debito, il nostro vecchio caro Anton Newcombe, che per farci ascoltare il ventesimo album ufficiale della sua creatura, i Brian Jonestown Massacre, non avremmo dovuto attendere a lungo, e che il nuovo disco sarebbe arrivato meno di un anno dopo l’ultima fatica in studio, “Fire doesn’t grow on trees” (datato estate 2022). E noi rispondiamo che, parafrasando lo slogan pubblicitario di una nota marca di dolciumi, avere a che fare col materiale dei BJM è sempre un piacere.

 

E così proprio oggi viene pubblicato “The Future is your past“, long playing composto (come il precedente) nella quasi totalità del lotto, da brani provenienti dalle sessioni di composizione e registrazioni quotidiane (delle quali almeno sessanta sono state pubblicate sul loro canale YouTube) che, tra il 2020 e il 2021, nei vari lockdown dovuti alla pandemia sanitaria da covid-19, avevano risvegliato nel leader Newcombe la sua proverbiale vena compositiva prolifica, dopo un periodo di blocco creativo.

 

Coadiuvato da Hakon Adalsteinsson alla chitarra e Uri Rennert alla batteria (oltre alla partecipazione del figlio Wolfgang) il polistrumentista Newcombe, californiano di nascita, e berlinese di adozione, arrangia e mette a punto altri dieci viaggi sensoriali (neo)psichedelici (omettendo dalla tracklist, da buon furbacchione quale è, la title track dell’album) facendoci partire per la tangente esplorando i consueti territori ultraterreni, cari a Newcombe, nei quali ritroviamo droni chitarristici, ritmi ammalianti (ok, l’aggettivo “lisergico” è un po’ troppo abusato, nelle recensioni, per descrivere le sensazioni evocate dai dischi di psichedelia) strutture sonore dal sapore orientaleggiante, passaggi vorticosi ardenti di distorsioni e ipnotizzanti paesaggi sonori fuzzati, ampliando l’universo del rock psichedelico dei Brian Jonestown Massacre a elementi blues, folk e pop.

 

Tutto il meglio del canzoniere Newcombiano risponde “presente” all’appello: il jingle-jangle sound dell’opener “Do rainbows have ends“, la ritmica spezzata dell’agitata “Nothing can stop the sound“, che dalla metà in avanti deflagra in un caos cacofonico) la classica irresistibile cavalcata (neo)psichedelica in “The light is about to change“, il mantra stonato psicotropo di “Fudge” e quello a trazione spirituale in “Cross eyed gods“, vivide atmosfere psych sognanti in “As the carousel swings“, intensità sfrenata in “The mother of all fuckers“, goduriose commistioni di melodia e rumore in “All the feels“, rock ‘n’ roll à la Newcombe in “Your mind is my café” e nenie malinconiche nella conclusiva “Stuck to yous“.

 

Mentre il popolino italico-italiota in questi giorni si bea dello squallore, ogni anno sempre più imbarazzante, del festivàl di Sanscemo, noi ringraziamo Anton Newcombe e i suoi Brian Jonestown Massacre per l’ennesimo ottimo full length sfornato al momento giusto, e fatto risuonare ad altissimo volume per tenere i nostri timpani occupati e i nostri cuori lontani dal marciume nazional-popolare imperante. Grazie di esister… ah no, questa frase l’ho già sentita in bocca a un fenomeno da baraccone partorito dalla kermesse sanremese. E allora correggiamo il tiro, e al menestrello losangelino/berlinese ci sentiamo di dire, semplicemente: Grazie per esserci ancora.

 

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