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Recensione : Il Nuovo Melodismo Dei Metz

IL NUOVO MELODISMO DEI METZ Recensione di Atlas Vending : Oggi viene pubblicato il quarto lavoro dei Metz, Atlas Vending, dopo l'uscita di alcuni split e di Automat, ovvero una raccolta di B-sides e rarità dell'anno scorso, e naturalmente l'album precedente che ha visto la luce a Settembre di tre anni fa

Il Nuovo Melodismo Dei Metz

Atlas Vending
by METZ

IL NUOVO MELODISMO DEI METZ
Recensione di Atlas Vending


Oggi viene pubblicato il quarto lavoro dei Metz, Atlas Vending, dopo l’uscita di alcuni split e di Automat, ovvero una raccolta di B-sides e rarità dell’anno scorso, e naturalmente l’album precedente, ovvero Strange Peace, che ha visto la luce a Settembre di tre anni fa.

La band co-produce il loro ultimo lavoro insieme a Ben Greenberg (chitarrista degli Uniform) e viene aiutato nel lavoro di missaggio insieme a Seth Manchester (già in studio con Battles e Daughters) il quale ha ricoperto anche il ruolo di ingegnere del suono.

Inoltre ancora una volta il gruppo originario di Toronto è sotto l’egida della Sub Pop, e infatti si riconfermano gli aspetti più autentici del trio noise, però con l’aggiunta di nuovi sviluppi; la musica dei Metz, cadenzata e magmatica, aspetto che si realizza con l’utilizzo di feedback e volumi alti, e che ha un melodismo vicino al post-punk, aggiunge al discorso musicale nuovi elementi di accoglienza dal punto di vista della melodia.

Riferendosi a quelle novità nel sound, il batterista Hayden Menzies, secondo quanto riportato sul Bandcamp Daily (potete trovare l’articolo a cui si fa riferimento a questo link ), afferma: “quello che importa è essere in movimento e non stabilizzarsi alla formula di quel genere di band con la quale siamo stati classificati.

Questo è stato importante per entrare nel vivo del suono del disco”. Non è un caso che Strange Peace andava in tutt’altra direzione, approfondendo il discorso già avviato notevolmente nell’esordio omonimo e in II, attraverso un modo di sperimentare più astratto, eludendo da più punti di vista dallo stile classico del formato canzone, in piena fede alla tradizione noise rock.

In Atlas Vending è evidente un modo di scrivere i pezzi meno eterodosso, per cui diversi pezzi sono spezzati in strofe, bridge e ritornelli, questi ultimi più ad ampio respiro rispetto alle linee del basso ondivago e ossessivo di Chris Slorach e a quelle della chitarra distorta di Alex Edkins, queste ultime veri graffi sull’ardesia.

I brani in anteprima hanno quell’inquadratura più nuova, ovvero Blind Youth Industrial Park, Hail Taxi, e l’ultima traccia A Boat To Drown In. Anche No Ceiling e Sugar Pill lavorano in quel senso, ma celano un’attitudine incline alle origini per la maggiore aggressività dei pezzi.

Inoltre, a dispetto dell’intuitività di Strange Peace, il quale risulta meno melodico, Atlas Vending sembra seguire pattern ritmici, ad opera di Menzies, più complessi e meno periodici rispetto a quelli del terzo album.

In una parte di Pulse la costante pulsazione della grancassa ad un certo punto ha picco di volume sul mezzoforte ad opera del rullante e degli altri strumenti; The Mirror e Parasite sono sfuriate che hanno i pattern portanti della batteria potenti e di complessità diversa, intorno ai quali piatti e charleston vengono percossi in modo più aleatorio, mentre quello di Draw Us In è interessante la disposizione degli accenti poco convenzionale.

Inoltre A Boat To Drown In vuole essere il manifesto del disco, nonostante sia la meno in sintonia musicalmente con tutto il lavoro. Intuendo dal contesto, viene espresso il dissenso del gruppo verso la gran parte della società e della politica degli ultimi anni, per cui a volte lasciando tutto alle proprie spalle, trovando come valvola di sfogo l’ascolto di certa musica, risulta catartico; la fuga da una città distopica, nascosti dall’oscurità della notte (Hold on tight, we’re leaving at midnight / And if we don’t leave now, we’re not getting out alive), il rischio imminente da cui ne scaturisce e l’abbandono di un piano di cambiamento interno (And if you see headlights, man, you better run for cover / Hands tied, throw the old plan out / Because I need to leave this place now more than ever / I can see it now ) sono i temi che inanellano il pezzo, che come chiusura vuole lasciare un messaggio personale da parte del trio.

A Boat To Drown In è rilevante anche per la parte strumentale, più eterea e caratterizzata verso la fine da un giro di accordi di synth che si impone sulla terna chitarra-basso-batteria; la totalità degli strumenti dà un tocco cosmico, che chiude peculiarmente tutto il lavoro dal genere quasi completamente di un noise rock più terreno.

I Metz si rinnovano e danno conferma di essere un gruppo valido, dopo una serie di dischi praticamente distinguibili in modo evidente. Un album dalle sonorità nuove che amplia il pubblico del gruppo e che offre una loro versione interessante.

Altri Album recensiti:

Metz – II

Metz-Metz

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