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Mac Mccaughan, Superchunk, Suoni Primaverili

Intervista a Mac McCaughan su Wild Loneliness (il prossimo album dei Superchunk), The Sound Of Yourself (l'album solista) e argomenti del suo passato storico

Superchunk, da sinistra a destra: Jon Wurster, Laura Ballance, Jim Wilbur, Mac McCaughan (credits Brett Villena).

Mac Mccaughan, Superchunk, Suoni Primaverili

Il 25 Febbraio 2022 esce Wild Loneliness, il nuovo album a nome Superchunk, per la Merge Records, etichetta dei due membri e menti creative del menzionato gruppo da Chapel Hill (North Carolina), che sono Mac McCaughan (voce e chitarra) e Laura Ballance (basso). Diversi i collaboratori esterni, ovvero: Norman Blake e Raymond McGinley (Teenage Fanclub), Mike Mills, Sharon Van Etten, Andy Stack (Wye Oak), Tracyanne Campbell (Camera Obscura, Tracyanne & Danny), Owen Pallett, Kelly Pratt e Franklin Bruno.

Caratterizzato da un’insospettabile luce primaverile, Wild Loneliness segna un ulteriore sviluppo nella produzione e poetica dei Superchunk, sempre in continuo divenire, distaccandosi dall’altro periodo oscuro, prima della pandemia, del mandato di Donald Trump negli USA che ha caratterizzato il penultimo disco What A Time To Be Alive (2017, Merge Records).

Il prossimo album che abbiamo potuto ascoltare in anteprima ha una forma più melodica e barocca allo stesso tempo, in cui linee più fluide, maggiormente evidenti in pezzi come On The Floor, vengono abbinate a una grandeur energica e pop, emblematica in pezzi come Highly Suspect, più, come vedremo, qualche esempio di eterodossia in quel contesto come Refracting.

Superchunk, da sinistra a destra: Jon Wurster, Laura Ballance, Jim Wilbur, Mac McCaughan (credits Brett Villena).

Analizzando il gruppo per quanto riguarda le origini, i Chunk – la forma embrionale dei Superchunk – nascono a Chapel Hill nel 1989 dalle ceneri dei Metal Pitcher (Mac, Laura e un membro di nome Jeb Bishop) e prima ancora dei Quit Shovin’ (ai tempi Mac suonava la batteria), qualche mese dopo la fondazione della Merge Records.

Formati da Jack McCook (chitarra) e Chuck Garrison (batteria, grazie al quale fu dato il nome al gruppo, più nello specifico attraverso un refuso del suo nominativo presente in un elenco telefonico – “Chunk” al posto di “Chuck”, un’allusione estemporanea e affettuosa per via della stazza del batterista (“chunk” in italiano può voler dire “ciccione”)), sostituiti in seguito dai componenti stabili fino a oggi, ovvero Jim Wilbur (chitarra) e Jon Wurster (batteria), il suono iniziale dei Chunk/Superchunk risente delle origini hardcore ma anche di altre sonorità più sperimentali degli ’80 come Black Flag, Hüsker Dü, Buzzcocks, Fall, etc, fondendo abrasività e melodia.

Caratteristico in quegli anni (1992, dopo che cambiarono il nome in Superchunk, evitando confusioni con gli altri Chunk, gruppo jazz da New York), è No Pocky For Kitty (Merge Records), registrato con l’aiuto di Steve Albini (Big Black, Rapeman, Shellac); il gruppo conosce il chitarrista e vocalist originario di Chcago durante un concerto al Cat’s Cradle (a Carrboro, dalle parti di Chapel Hill) dei Jesus Lizard (per cui faceva il tecnico del suono) e dei Sonic Youth nel 1990. L’anno dopo il gruppo si reca al Chicago Recording Company di Albini e in tre giorni registra quello che sarà No Pocky For Kitty, permeato da linee caustiche e consonanti (tra hardcore e indie rock americano) che guardano anche alle sonorità solari di quegli anni come quelle dei Teenage Fanclub (questi ultimi con un’espessività dal retaggio power pop).

Inoltre, in parallelo ai Superchunk, McCaughan porta avanti una carriera solista, attraverso una scrittura che fa uso non solo di chitarra e voce ma anche di tastiere, all’inizio con i Portastatic e successivamente a nome proprio (verso la metà degli anni ’10). Un esempio più recente è il suo album solista The Sound Of Yourself, pubblicato il 24 Settembre 2021 (ancora una volta Merge Records).

Gli elementi portanti sono l’attitudine “popster” trasmigrata in sonorità elettroniche, come era avvenuto già in parte con il primo lavoro a nome “Mac McCaughan” Non-Believers. In The Sound Of Yourself prende piede una maggiore lisergicità, con diverse eccezioni, giusto mezzo tra krautrock, post-punk e alternative pop/rock. Altro aspetto è la collaborazione con Mary Lattimore, arpista originaria si Asheville (North Carolina), con base a Los Angeles, e che conta diverse esibizioni con artisti internazionali come Thurston Moore, Steve Gunn, Sharon Van Etten, Kurt Vile, etc…

I due lavori insieme a McCaughan (al synth), New Rain Duets (2019, Three Lobed Records) e AVL (2020, NRR) esplicano onde sonore eteree, tra sintesi e analogia platonicamente distorta, con una caotica celestialità nella composizione dei due autori. Inoltre il contributo della Lattimore compare anche nelle tracce di The Sound Of Yourself Moss Light e Found Cricket, dallo stile più strutturato e cadenzato, spesso sincopato, emulando un suono quasi scampanellante e alieno.

Abbiamo parlato di alcuni dei temi citati direttamente con Mac McCaughan, riguardo la sua produzione più recente, in solo o collettivo, più argomenti del suo passato storico. Di seguito l’intervista.

Cominciamo a parlare del prossimo album dei Superchunk, intitolato Wild Loneliness. Potresti parlarci di questo lavoro in termini di processo creativo e produzione? Esso segna un netto cambiamento, attraverso le sue sonorità più morbide e l’associata attitudine. Ci vuoi raccontare meglio?

Mac McCaughan: “Dopo le canzoni più punk e arrabbiate di What A Time To Be Alive sentivamo che fosse arrivato il tempo di fare qualcosa di diverso – è difficile sostenere che ci sia dell’energia negativa e come questa possa avere qualche interesse – e il remake di Foolish (Acoustic Foolish) sembrava andare nella giusta direzione. Quindi cominciai a scrivere canzoni con la chitarra acustica e immaginare un disco che avesse un lato più soft. Tutto questo, cioè il periodo in cui cominciai a scrivere queste canzoni, avvenne prima della pandemia. Successivamente il lockdown ebbe il suo effetto e noi non potevamo andare in uno studio, così cominciammo a pensare and altre maniere per poter fare il disco, e così cominciammo a registrare nello studio di base a casa mia. Jon e Jim si recavano sul luogo e registrarono le loro parti individualmente con indosso la mascherina.Laura registrò le sue parti di basso nella sua abitazione. Non avevamo mai fatto un disco in cui non suonavamo le tracce già scritte in presa diretta e tutti insieme in studio! Ma Wally Gagel (che in passato ha registrato e missato Here’s Where The String Come In) ha fatto un gran lavoro di missaggio e per fortuna non sembra che suoniamo le nostre parti separatamente… e con soddisfazione la tecnologia ci sostiene nel collaborare con alcuni dei nostri musicisti preferiti.”

L’armonia e le linee melodiche delle tracce sono più consonanti della loro struttura agrodolce nella loro manifestazione più esterna. Pezzi come Endless Summer e Highly Suspect sono interessanti esempi di hit radiofonici, composti con una creatività intelligente, mai banale o ridondante. Sembra che l’attitudine popster dei Superchunk (potremmo associare la vostra band ad una versione ’80 indie-rumorista o lo-fi della letteratura power pop) trasmigri in una più tradizionale consistenza, più dilatata e lineare, di genere propriamente power pop. Cosa pensi della poetica power pop più in senso tradizionale? C’è un effettivo collegamento con Wild Loneliness? Potresti parlarci della sua relazione con l’artigianato indie o quello più attuale?

Mac McCaughan: “Beh, anche dal nostro primo album ci siamo concentrati a scrivere grandi canzoni. Non avevamo trucchi o qualcosa di particolarmente strano per quanto riguarda quello che facevamo, e le band che chiaramente influenzarono I nostri primi dischi – Buzzcocks, Hüsker Dü, etc – erano anche conosciute per le loro grandi canzoni pop, catchy e con chitarre rumorose. Non penso che il nostro approccio è davvero in quel senso, tranne per il fatto che proviamo a fare ogni disco in modo sempre diverso, in modo che noi (e i fan) non si annoino. Penso che alcuni dei nostri ospiti nel disco – Mike Mills, Teenage Fanclub, Tracyanne Campbell – stanno ad indicare la tipologia di artisti che ci ha influenzati in questo disco, oltre che sicuramente negli altri album!”

Parlando dei testi di Wild Loneliness, c’è un chiaro sentimento romantico nella tua scrittura. Le immagini evocate, e la sensibilità empatica e immaginativa caratterizza quel flusso attraverso istanze reali. Molte tracce hanno un tema emotivo, con un approccio tradizionale, più poetico e meno movimentato rispetto I passati lavori dei Superchunk, ma in ogni modo con ritmi sincopati nell’associato cantato. Potresti parlarci del contesto in cui questi testi hanno origine?

Mac McCaughan: “La direzione nei testi non è in realtà qualcosa che determino nei primi momenti, ma dopo poche canzoni mi è chiaro dove le canzoni stanno andando. E Wild Loneliness è una specie di reazione all’ultimo album – andando in direzione opposta, questa volta un’ottica positiva. Non sempre è una cosa facile da fare in una pandemia mondiale quando I fascisti stanno provando ancora a prendere il sopravvento! Ma l’idea era guardarsi intorno ringraziando di essere nel mezzo di tutto questo, provando a non privarci completamente alla nostalgia e alla sdolcinatezza.”

In ogni modo ci sono alcune eccezioni nel suono di Wild Loneliness. Per esempio, Refracting richiama la tradizionale poetica dei Superchunk (in particolare le sonorità più leggere del vostro album del 1995 Here’s Where The Strings Come In). Questa traccia risulta essere più veloce e plasmata, in senso punk. Come si sviluppa l’idea di Refracting?

Mac McCaughan: “Hai ragione, Refracting è un po’ un’eccezione ma penso che gli album troppo consistenti possono tendere ad uniformare tutti i pezzi, quindi è bene avere una coppia di eccezioni (come Black Thread era l’unica canzone lenta in What A Time To Be Alive). È un po’ come una canzone dall’ultimo disco, ma io sto ancora suonando la chitarra acustica. Come dissi, I fascisti stanno cercando di comandare… Discutevo dei Clash con il nostro batterista Jon e lui aggiunse dei battiti di mani in riferimento ad una canzone dei Clash (non posso ricordare quale!).”

 

Parliamo del precedente album (2018) ancora dei Superchunk, What A Time To Be Alive. Queste sonorità sono potenti e vitali ma nel segno dei suoi oscuri e contemporanei tempi (il periodo di Trump). C’è più diversificazione in quel leitmotiv: se la titletrack è più dilatata e definitiva nel suo significato, e Reagen Youth si districa tra suoni hardcore con sfumature melodiche, Erasure è più consonante, vellutata e dalle tonalità blu, o con un tocco malinconico. Un album lateralmente punk e organico, anche alternative/power pop (un genere nell’ottica dell’altro), con una attitudine hardcore. Inoltre un netto contrasto tra questo disco (più veloce e melodicamente più oscuro) e Wild Loneliness (in cui c’è più luce e un’atmosfera più leggera). Puoi parlarci del contesto relativo a quest’album, della elaborazione di quegli ementi, e della divergenza tra I due album citati?

Mac McCaughan: “Ne ho già parlato prima, comunque sì, What A Time fu scritto e registrato alla soglia del mandato di Trump, e tristemente tutte le cose che avvennero dopo furono anche peggio rispetto a quanto avevamo ipotizzato. Ma stare arrabbiati tutto il tempo è estenuante (e gli autarchici come Trump contano sulle persone che sono esauste) così ad un certo punto devi riversare la tua energia per qualcos’altro.”

 

Adesso parliamo del tuo ultimo album solista The Sound Of Yourself. Come è nato e si sviluppato questo concept etereamente pop?

Mac McCaughan: “L’album dei Superchunk stava portando via molto tempo per le registrazioni durante il lockdown e l’anno prima volevo pubblicare a tutti i costi un disco, così a Gennaio (2021, nda) feci un album solista influenzato molto da tutto quello che ho ascoltato a casa durante la pandemia. La musica che il mio cervello voleva ascoltare era un sacco di musica ambient, suoni dal Giappone e Inghilterra dagli anni ’80, e jazz… e io non posso suonare jazz, quindi ottieni tutto quello che ha influenzato The Sound Of Yourself. L’approccio alla registrazione è simile ai primi album dei Portastatic in quanto non ci sono regole su come una canzone potrebbe nascere – o con un campione, un’insolita drum machine o un suono di sintetizzatore – ovvero una premessa che mi aiuta nella scrittura. Ancora una volta sono stato fortunato di avere grandi collaboratori a migliorare alcune di queste canzoni – Mary Lattimore, Matt Douglas, Torres, e altri ancora – ed è stato davvero divertente creare.”

Se la scrittura è minimale nella sua intensa essenza pop, la produzione pratica è organica e barocca, e oscilla tra un’astratta danza avant e un lisergico suono krautrock, con una profonda sensibilità musicale, la quale è nel segno di una fluida semplicità proveniente dalla sperimentazione strumentale e dalle tracce cantate, plasmate in questo caso da archetipi sonori naturali e rassicuranti. Più in profondità, una parte della tracklist è caratterizzata da una cadenza (lateralmente) psichedelica, scampanellante e tribale, arricchita da sonorità library, soundtrack e ovviamente elementi kraut. Un’altra parte è più consonante, ma con un groove smaliziato, tra ritmi folli un suono sintetico e cosmico. Potresti dirci quali sono stati I tuoi punti di riferimento, come persone o cose?

Mac McCaughan: “Beh, amo un sacco il cosiddetto KrautrockSuperchunk, soprattutto gli album dei Neu! e I dischi solisti di Michael Rother, e sicuramente i dischi di Bowie registrati a Berlino e la produzione di Eno degli anni ’70 e, andando oltre, molta della musica che ha influenzato questo album è la roba che ascoltavo quando ero adolescente – gli anni ’80 – come The Cure e The Blue Nile, etc… e anche band dal Giappone che non ascoltai all’epoca come Dip In The Pool e Hiroshi Yoshimura.”

Dawn Bends (in collaborazione con gli Yo La Tengo, nda), la penultima traccia da The Sound Of Yourself, è una buona eccezione nell’album; infatti il suono richiama la tua poetica più acustica, come Portastatic, con una creatività melodica vicina ai pezzi dei Superchunk (in senso lato). La musica segue istanze umane in modo indie/alternative simile agli Yo La Tengo e Pavement, con un’armonia agrodolce. In ogni modo Dawn Bends ha elementi sintetici, e rende l’album coerente, ma come ponte interessante nella complessità di tutto il lavoro. Come avviene la creazione di Dawn Bends? Qual è la sua funzione nell’album?

Mac McCaughan: “Penso che la sua funzione sia simile a quella di Refracting in Wild Loneliness – ovvero quella di essere l’eccezione che conferma la regola, e di dare all’ascoltatore il momento di “OK, questo mi sembra familiare”, ovvero una specie di momento divertente che un album dovrebbe avere. Come anche la collaborazione con gli Yo La Tengo nel pezzo, rende quest’ultimo speciale per me, dal momento che sono stati una grande influenza.”

 

AVL, il tuo precedente album con l’arpista Mary Lattimore, è permeato un’atmosfera onirica e patinata, attraverso un flusso casuale e cosmicamente ohmico. Il suono è più sospeso e centripeto (da un punto di vista delle composizioni) rispetto il successivo album, e melodie agrodolci e eteree sono dominanti con un feeling free jazz e krautrock. Come è nata questa uscita? Come è avvenuto il tuo incontro con Mary Lattimore, e come si è sviluppato questo lavoro interessante all’interno del catalogo Merge Records?

Mac McCaughan: “Conosco Mary dagli anni ’90, e dal momento che suonava l’arpa fin da allora, non avevo idea della meravigliosa musica che sarebbe stata in grado di riprodurre. Mary è un’incredibile musicista e improvvisatrice, ed è anche del North Carolina. Mi era stato chiesto di creare un programma per una performance a Charlotte (North Carolina) un po’ di anni fa, e chiesi a Mary di improvvisare con me in quello spettacolo. E io ho fatto dei filmati durante la nostra esibizione. Di conseguenza il nostro primo album è una registrazione di quel concerto, e dopo fu registrato il nostro album più recente durante il tour relativo alla promozione del primo disco (New Rain Duets). Amo suonare con Mary!”

 

 

Parlando del corso storico dei Superchunk, mi piacerebbe focalizzarmi sul vostro capolavoro (nella letteratura alternative), ovvero No Pocky For Kitty. È ammirevole come noise, suoni quasi-lo-fi incontrano strutture melodiche power pop, nel nome dell’atmosfera estiva e punk che ha caratterizzato gli anni ’90. È evidente il contributo di Steve Albini come produttore, infatti la musica è associata alla poetica di Albini o il suono noise di Chicago, che hanno avuto un’influenza in quei micro-elementi. Ogni traccia è un’abrasiva hit radiofonica, incontrando nella vostra discografia, di più rispetto al solito, Pavement, Sebadoh, Guided By Voices, etc… Cast Iron è un pezzo efficace e ben strutturato, con armonie dolci e amare e fulgidi riff alla chitarra. Posso chiederti perché I Superchunk hanno abbandonato quelle sonorità molto differenti, per esempio dal full-length successivo On The Mouth?

Mac McCaughan: “Non penso che abbiamo abbandonato quelle sonorità, ad essere sinceri! Ma abbiamo sempre provato ad accrescere quello che facevamo, in quanto non volevamo fare lo stesso disco due volte. Inoltre diverse canzoni si prestano a differenti produzioni. Ma soprattutto con No Pocky For Kitty la peculiare produzione di Albini (e il fatto che registrammo e missammo l’album in tre notti) ha conferito di fatto quel suono.”

 

Parlando del tuo vecchio progetto Portastatic, la mia curiosità ricade su un EP di quella discografia; quest’ultimo è San Andreas Crouch, per la piccola etichetta che fu Esther Records, da Chapel Hill (che produsse anche Archers Of Loaf e Fuck). Questo sette pollici ha un iconico suono lo-fi, il quale arricchisce quelle canzoni. La titletrack è più rilevante, in cui il suono noise e power pop è basato su un’idea essenziale e rudimentale, con una fervida struttura melodica. In ogni modo una versione con una produzione migliore è presente nell’album a nome Portastatic Slow Note From A Sinking Ship, semplicemente con il titolo “San Andreas”. Puoi parlarci di questa traccia, il possibile legame con la città californiana (San Andreas), e il suo tema sismico? Come avvenne l’idea dell’EP e quella estemporanea situazione? Infine, mi piacerebbe sapere qualcosa di più sulla Esther Records; qual è, in tal caso il suo legame con la tua Merge Records?

Mac McCaughan: “Il pezzo fu sicuramente ispirato dalla faglia di San Andreas in California e il terremoto che avvenne durante I giochi del World Series nel 1989… Registrai il 7” a casa con il mio registratore Tascam a quattro canali. La Esther Records fu fondata da Esther Oliver, che visse allora a Chapel Hill e poi si trasferì a New York e si mise a lavorare per la Matador Records. Ha fatto uscire dei singoli davvero cool! Esther vive as Asheville (North Carolina) ed è sposata con Greg Cartwright dei Reigning Sound, per cui siamo ancora in contatto.”

 

 

In conclusione, puoi parlarci del prossimo lavoro solista o con I Superchunk? Ci sarà un tour mondiale/europeo nei prossimo periodi

Mac McCaughan: “Spero che potremo tornare a suonare in posti in cui non suoniamo da molto tempo – come ad esempio l’Italia – una volta che la pandemia ce lo consentirà con maggiore sicurezza. Speriamo di vederci lì!”

 

 

Come riferimenti per la parte storica sui Superchunk sono state utilizzate alcune informazioni da Internet più il seguente testo:

Laura Ballance, John Cook, Mac McCaughan – “Our Noise: The Story of Merge Records – The indie label that got big and stayed small” (Algonquin Paperbacks, 2009).

Mac McCaughan, Superchunk, suoni primaverili

 

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