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Recensione : “Ancora un giorno” di Ryszard Kapuscinski

Nel 1975, dopo una guerra di liberazione, l’Angola cessa di essere una colonia portoghese e conquista l’indipendenza; Kapuscinski è là, intrappolato nell’assedio di Luanda, città da dove tutti scappano come topi da una nave che affonda.

“Ancora un giorno” di Ryszard Kapuscinski, edito da Feltrinelli

Nel 1975, dopo una guerra di liberazione, l’Angola cessa di essere una colonia portoghese e conquista l’indipendenza; Kapuscinski è là, intrappolato nell’assedio di Luanda, città da dove tutti scappano come topi da una nave che affonda.

Edito nel ’76, “Ancora un giorno” è il libro-reportage di quella rivoluzione, una delle ventisette seguite dall’autore durante la sua carriera di reporter.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • Il nome Angola deriva da quello del re N’Gola che, nella seconda metà del XVI secolo, regnava sulla popolazione mbundu (…). N’Gola era sovrano del regno di Ndongo, vicino meridionale di un altro grande regno africano, il Congo (oggi Zaire). Entrambi i regni furono sottoposti al potere del re del Portogallo e in seguito distrutti.
  • L’esportazione degli schiavi è stato il principale motivo della presenza portoghese in Angola. Per procurarsene il maggior numero possibile, i portoghesi vi hanno condotto guerre senza fine. (…) Documenti non pubblicati degli archivi portoghesi dimostrano che nel corso di trecentocinquant’anni, ce ne sono stati solo cinque in cui i portoghesi non conducessero una guerra in questo o quel punto dell’Angola.
  • Luanda moriva in modo diverso dalle città polacche durante gli anni di guerra. Non c’erano le incursioni aeree, le “pacificazioni” e le distruzioni di un quartiere dopo l’altro. Non c’erano cimiteri nelle strade e nelle piazze. Non ricordo un solo incendio. La città moriva come muore un’oasi dai pozzi prosciugati – si svuotava, si spegneva, cadeva nell’oblio. (…) Tutti avevano fretta, tutti partivano! Ognuno cercava di prendere il primo aereo per l’Europa, per l’America, per qualsiasi parte del mondo.
  • (…) qualcuno portò in albergo la notizia che tutti i poliziotti erano partiti. Luanda era l’unica città al mondo senza polizia. È una circostanza che comunica una sensazione strana. Da un lato si avverte un senso di libertà e di leggerezza, dall’altro una certa inquietudine.
  • A un certo punto se ne andarono anche i vigili del fuoco. Adesso non c’era nessuno in grado di salvare la città da un incendio.
  • Poi partirono gli spazzini. (…) In città non restava che una manciata di abitanti che, oltretutto, conducevano una vita talmente apatica e inerte da non sembrare in grado di produrre cataste di immondizie. E invece nelle strade della città abbandonata cominciarono ad ammucchiarsi montagne di rifiuti.
  • A un certo punto cominciarono a morire i gatti. Dovevano essersi avvelenati con qualche carogna perché, una mattina, le strade apparvero costellate di gatti morti. Dopo due giorni si gonfiarono, diventando grossi come maiali, coperti da nugoli di mosche nere.
  • Non c’erano più medici, non un ospedale o una farmacia aperti.
  • Le guerre per procacciarsi gli schiavi sono durate oltre trecento anni. (…) Il prezzo degli schiavi veniva stabilito in base alle condizioni della dentatura: la gente si strappava i denti, se li limava con una pietra, pur di abbassare il proprio valore di mercato. Quanta sofferenza, pur di restare liberi.
  • Il prigioniero successivo dimostra dodici anni. Dice di averne sedici. (…) gli hanno detto che se andava al fronte poi l’avrebbero mandato a scuola. Ci tiene a studiare, perché vuole fare il pittore. (…) Dipingere è la sua vita, non chiede altro che di studiare. Quelli gli hanno detto che se andava al fronte l’avrebbero fatto studiare. È così che funzionano le cose e lui non aveva scelta: se voleva dipingere, prima doveva uccidere.
  • (…) l’essenza dell’autorità sta nel manifestare il proprio potere.
  • (…) sull’asfalto giacevano abbandonati i cadaveri dei soldati. Da quelle parti non si usava seppellire i morti e l’ingresso in una zona di guerra si riconosceva dall’orrendo tanfo dei corpi in decomposizione. La putrida umidità dei tropici doveva aggiungervi qualche ulteriore fermento, poiché il fetore era talmente intenso, spaventoso e perfino assordante che, malgrado l’abitudine, non c’era volta che non mi girasse la testa e mi si rovesciasse lo stomaco.
  • (…) il volto della guerra non è comunicabile. Né con la penna, né a voce, né con la macchina da presa. La guerra è una realtà solo per chi sta conficcato tra le sue sporche, disgustose e sanguinolente interiora. Per gli altri è solo una pagina di libro, un’immagine sullo schermo.
  • (…) apparteneva a quel genere abbastanza frequente di persone che, più che dall’uccidere, traggono soddisfazione dalla consapevolezza di poterlo fare.
  • Chi nasce oggi, tra venticinque anni vedrà il duemila. (…) Metà del genere umano avrà gli occhi a mandorla. Metà del genere umano non capirà quello che dice l’altra metà. È tempo di studiare una comunicazione a base di segni, di cominciare a insegnare il linguaggio gestuale. Della razza bianca non resteranno che vestigia. Solo il tredici per cento degli abitanti della terra avrà la pelle bianca. Solo il due per cento saranno biondi naturali. I biondi: un fenomeno sempre più eccezionale, una vera rarità. Che cosa è meglio: pensare al futuro o non pensarci affatto? I compiti che il futuro riserva agli uomini; per gli uni, mantenere inalterato il lusso, croce delle società postindustriali. Per gli altri, l’eterno problema della sopravvivenza: come procurarsi il cibo quotidiano.
  • Per tutto il tragitto in quella zona fittamente popolata, non un sopravvissuto, non una casa intatta. Tutti gli abitanti sterminati, tutti i villaggi bruciati. Durante la ritirata i soldati avevano distrutto ogni traccia di vita. Teste di donna gettate sul ciglio erboso della strada. Cadaveri a cui erano stati strappati il fegato e il cuore. A metà del percorso, avevo cominciato a tenere gli occhi chiusi.
  • Nella guerra non c’è salvezza.

“Ancora un giorno” di Ryszard Kapuscinski

Marco Sommariva

marco.sommariva1@tin.it

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