Diciannovesimo episodio di :: acufeni :: siamo nelle vicinanze delle festività cattoliche di metà anno civile numero duemilaventicinque ma non ci fermiamo a espiare le nostre colpe cercando quel perdono in cui non abbiamo mai creduto e che, conseguentemente, non abbiamo mai chiesto. Diciannovesimo episodio che ospita (come sempre in rigoroso ordine alfabetico) Idle Heirs, Masma Dream World, Neptunian Maximalism, Rýr, eTómarúm.
Idle Heirs – Life is Violence (Relapse Records)
Sean Ingram dei Coalesce torna dall’isolamento cui (si) era confinato. Era infatti dall’EP “OXEP” del lontano 2009, che non faceva parlare di sé. Torna oggi, da solo, o meglio con la sua nuova incarnazione, gli Idle Heirs, e il loro album di debutto “Life is violence”, pubblicato dalla Relapse Records.
Il disco mostra una nuova veste per Ingram, che sposa un approccio meno frenetico, meno schizofrenico, ma pur sempre di ottima fattura. Un sound monolitico, il suo, che mostra tutta la maturità di Ingram. Un sound che non fatichiamo ad individuare come deciso e granitico, e che, caratterizza un disco quanto mai vario, mutevole, ma pur sempre riconducibile ad un discorso globale chiaro, pur se “sfumato” in un tutta una serie di declinazioni che permettono a tutte le anime che lo compongono di emergere e delinearsi, singolarmente. “Life is violence” è un album con un’attitudine concettuale estremamente cupa, e, visto il titolo, non poteva che essere altrimenti. Un album che vive di contrasti che esplodono fragorosi, e devastano tutto in un istante.
Forse 51 minuti di durata complessiva sono un pò eccessivi. Nonostante sia un disco che si caratterizza per una crescita costante a livello di intensità, a tratti si fa fatica ad assecondarne l’incedere. Ma ciò non toglie che siamo alle prese con un disco davvero interessante.
Masma Dream World – Please Come to me (Valley of Search Records)
Devi Mambouka (in arte Masma Dream World) riesce, con merito, a mettere a fuoco, il melting pot culturale con cui è cresciuta (madre di Singapore e padre del Gabon) e ci presenta un album realmente saturo di oscurità, che, nonostante la sua dichiarata ostilità di base, finisce per essere quanto mai gradevole e vario, anche in quelli che sembrano i momenti di più difficile accesso e immedesimazione. “Please come to me” è inquadrabile come un’immersione catacombale, in cui, il suono ritmato del nostro respiro affannoso che cerca l’aria e la luce, diventa esso stesso suono, e rumore.
L’album trasuda angoscia e dolore, e sembra realmente arrivare da un “altrove” in cui regna il terrore.
Un disco in cui manca la luce, e tutto sprofonda sempre più in un vortice oscuro, in cui risuonano rituali e ipnotiche litanie. Masma Dream World non lascia trasparire speranza alcuna per il domani. Nega ogni possibilità di cambiamento, e lo fa consacrandosi al regno delle tenebre, perché il buio non sia soltanto il contrario della luce, ma uno stato d’animo a tutti gli effetti. Un album che è totalizzante, e che rappresenta un rituale che sfiora la trance. Forse un pò troppo ancorato a schemi vocali che risultano alla lunga ripetitivi, l’album è però un buon modo per scendere a patti con noi stessi.
Neptunian Maximalism – Le Sacre Du Soleil Invaincu (I, Voidhanger Records)
“Le Sacre Du Soleil Invaincu” è un album che esula dai canoni a cui siamo soliti affidarci, in cerca di quella tranquillità acustica, che possa fare della nostra comfort zone, un qualcosa che davvero ci possa rendere felici, scevri da sollecitazioni esterne che possano minare le nostre (poche) convinzioni.
Un disco che sposa la psichedelia e la ricerca, attraverso una registrazione in presa diretta, durante un live impro all’interno della Chiesa londinese di St. Johns on Bethnal Green. Un’ora e quaranta di assalto sonoro all’arma bianca raccolti in un triplo CD o in triplo vinile 12″, in cui la nostra rincorsa emotiva e attenzionale viene messa a dura prova. L’album satura quasi immediatamente l’ambiente, e ci costringe ad aumentare il livello di attenzione, a causa di una scelta stilistica sostanzialmente “libera” che necessita di isolamento (sia fisico che mentale) per poter creare la catarsi necessaria. Quello di “Le Sacre Du Soleil Invaincu” è un linguaggio di non facile e immediata lettura, ma che, forse proprio per questo, risulta essere assolutamente stimolante.
Ci vuole coraggio per ascoltarlo, ma ce ne vuole sicuramente di più per pensarlo e realizzarlo. Unica pecca l’assenza del sax baritono che, solitamente, caratterizza e identifica, le loro composizioni.
Rýr – Dislodged (Moment Of Collapse Records)
“Dislodged” dei Rýr è un album che ha una sua cifra stilistica ben precisa, riconoscibile e indefessa che ruota intorno all’ormai sdoganatissimo (e per noi condivisibilissimo) “less is more”. L’album, il terzo per la band berlinese, non inventa nulla, ma si colloca tra quelli che hanno una propria dignità sonora, e che mostrano di avere, alle spalle, band dalle idee chiarissime.
I Rýr si caratterizzano quindi per un’attitudine che guarda al minimalismo sonoro, cercando però di mantenere intatto il poderoso impatto che li ha sempre contraddistinti. “Dislodged” è un album immediatamente riconoscibile, e che parla di una band che non ha alcuna intenzione di sperimentare, preferendo un approccio volto alla ricerca della massima potenza possibile, e di un muro di suono impenetrabile e impossibile da abbattere.
Il trio tedesco è riuscito nell’impresa di realizzare un album per certi versi maestoso, che lascia un senso di incipiente angoscia esistenziale, fatta di suoni opprimenti e ripetitivi. Rýr è una band che ha scoperto che cosa vuole diventare, e come fare per metterlo in pratica. Cercando di non perdere un grammo della sua pesantezza soffocante che si muove a cavallo tra post rock, doom e noise rock. Il tutto di ottima fattura.
Tómarúm – Beyond Obsidian Euphoria (Prosthetic Records)
Gli statunitensi Tómarúm tornano dopo tre anni di silenzio. E lo fanno con “Beyond Obsidian Euphoria”, un album che sposta il tiro dal black metal, per certi versi “scolastico”, dell’esordio, a un caleidoscopio di sonorità che raccontano di un mondo fatto di isterismo, in cui la band si trova a meraviglia.
Pervaso da un tasso tecnico molto elevato, ma che, alla lunga, rischia di risultare piuttosto “freddo” per chi come noi, guarda con più attenzione al pathos dei brani che non alla perfezione stilistica, l’album sposta il sound della band verso sonorità maggiormente stratificate. Il disco ha negli arrangiamenti il suo punto di forza, e, forte di un approccio che taglia il respiro e non lascia mai intendere quella che sarà la direzione da intraprendere, mostra in modo piuttosto nitido tutto il suo esplosivo potenziale.
“Beyond Obsidian Euphoria” è un album gradevole, che però spesso rischia di sfumare in partiture barocche che non affascinano poi più di tanto, e che non aumentano il tasso di emotività del coinvolgimento. Un disco fatto sicuramente bene, ma che non possiamo non collocare in un settore “di nicchia” verso cui guardiamo ormai sempre più di rado.