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Recensione : Spleen Baudelaire Testo: Viaggio nell’Abisso dell’Animo Umano

Nel 1857, al tempo della pubblicazione dei “Fiori del male”, Baudelaire dichiara che gli artifici dello stile poetico sono un ostacolo allo sviluppo di un pensiero che abbia come oggetto la verità: è l’atto di nascita de “Lo Spleen di Parigi”

Spleen Baudelaire Testo: Viaggio nell'Abisso dell'Animo Umano
Nel 1857, al tempo della pubblicazione dei “Fiori del male”, Baudelaire dichiara che gli artifici dello stile poetico sono un ostacolo allo sviluppo di un pensiero che abbia come oggetto la verità: è l’atto di nascita de “Lo Spleen di Parigi”, una serie di poemetti provocatori pubblicati fra il 1864 e il 1869, che sondano sentimenti, abitudini e personaggi della Parigi di quel secolo.   Potrete leggere passaggi come questi:  
  • “La tua patria?”
“Ignoro sotto quale latitudine essa sia situata.” (…) “L’oro?” “Lo odio, come tu odi Dio.”
  • Sotto un grande cielo grigio, in una grande pianura polverosa, senza sentieri, senza erba, senza un cardo, senza un’ortica, ho incontrato parecchi uomini che camminavano curvi. Ognuno di loro portava sulla schiena un’enorme Chimera, pesante come un sacco di farina o di carbone, o come l’equipaggiamento di un fante romano. Ma l’animale mostruoso non era un peso inerte; al contrario, avviluppava e opprimeva l’uomo con i suoi muscoli elastici e possenti; si aggrappava con le sue due grandi grinfie al petto della sua cavalcatura; e la sua testa favolosa sormontava la fronte dell’uomo come uno di quegli orrendi cimieri con i quali gli antichi guerrieri cercavano di accrescere il terrore del nemico. Mi rivolsi a uno di quegli uomini e gli chiesi dove andassero in quella guisa. Mi rispose che non ne sapeva nulla, né lui, né gli altri; ma che evidentemente andavano da qualche parte, perché erano spinti da un invincibile bisogno di camminare. Da notare una cosa strana: nessuno di quei viandanti aveva l’aria irritata contro la bestia feroce sospesa al suo collo, e incollata alla sua schiena; si sarebbe detto che ognuno la considerasse una parte di sé. Tutti quei visi affaticati e seri non mostravano traccia alcuna di disperazione; sotto la cupola spleenetica del cielo, i piedi affondati nella polvere di un suolo desolato come il cielo, camminavano con la fisionomia rassegnata di chi è condannato a un’eterna speranza. Il corteo mi passò a fianco, e scomparve nell’atmosfera dell’orizzonte, là dove la superficie rotonda del pianeta si sottrae alla curiosità dello sguardo dell’uomo. Per qualche istante mi ostinai nel voler comprendere questo mistero; ma ben presto l’irresistibile Indifferenza s’abbatté su di me, e io fui oppresso dal suo peso più di quanto non lo fossero loro dal peso delle loro schiaccianti Chimere.
Lo Spleen di Parigi di Charles Baudelaire
  • Avete scorto qualche volta delle (…) vedove povere? Che portino o no il lutto, è facile riconoscerle. D’altronde, nel lutto del povero c’è sempre qualcosa che fa difetto, un’assenza di armonia che lo rende più desolato. Egli è costretto a lesinare sul proprio dolore. Il ricco porta il suo al gran completo.
 
  • Proprio davanti a noi, sul marciapiede, stava ritto un brav’uomo di una quarantina d’anni, con il volto affaticato, con la barba grigiastra, con un bambino tenuto per mano, e un altro piccino, troppo debole per camminare, sul braccio. Assolveva il compito di una bambinaia e faceva godere ai suoi figli l’aria della sera. Tutti stracciati. Quei tre volti erano straordinariamente seri, e quei sei occhi contemplavano con fissità il nuovo caffè con una uguale ammirazione, ma leggermente differenziata per età. Gli occhi del padre dicevano: “Quanto è bello! Quanto è bello! Si direbbe che tutto l’oro dei poveri sia venuto a posarsi su quei muri.” Gli occhi del ragazzino: “Quanto è bello! Quanto è bello! Ma è una casa in cui può entrare soltanto della gente che non è come noi.” Quanto agli occhi del più piccino, erano troppo affascinati per esprimere altro che non fosse una gioia stupefatta e profonda. Gli chansonniers dicono che il piacere rende l’anima buona e intenerisce il cuore. La canzone aveva ragione quella sera, per quanto mi riguardava. Non ero solo intenerito da quella famiglia d’occhi, ma mi sentivo anche un poco vergognoso dei nostri bicchieri e delle nostre caraffe, tanto più grandi della nostra sete. Volgevo il mio sguardo verso il vostro, caro amore, per leggervi il mio pensiero; sprofondavo nei vostri occhi tanto belli, e così stranamente dolci, nei vostri occhi verdi, abitati dal Capriccio e ispirati dalla Luna, quando voi mi diceste: “Quelli lì mi sono insopportabili con i loro occhi spalancati come porte cocchiere! Non potreste chiedere al caposala di allontanarli di lì?” È tanto difficile intendersi, angelo mio, e il pensiero è così incomunicabile, anche tra persone che si amano!
 
  • Il commissario (…) mi guardò di traverso e mi disse: ‘Ecco una losca faccenda!’ mosso senza dubbio da un desiderio inveterato e dall’abitudine professionale d’intimidire a caso colpevoli o innocenti.
 
  • Bisogna sempre essere ebbri. Ecco tutto: è l’unica questione. Per non sentire l’orribile fardello del tempo che spezza le vostre spalle e vi piega verso terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Di che? Di vino, di poesia, di virtù, a vostro piacimento. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fossato, nella cupa solitudine della vostra camera, vi risvegliate, essendo già l’ebbrezza scomparsa o diminuita, chiedete al vento, all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio, a tutto ciò che fugge a tutto ciò che geme, a tutto ciò che rotola, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, l’onda, la stella, l’uccello, l’orologio, vi risponderanno: “È l’ora di ubriacarsi! per non essere schiavi martirizzati dal Tempo, ubriacatevi; ubriacatevi senza posa! Di vino, di poesia, o di virtù, a vostro piacimento.”

Lo Spleen di Parigi di Charles Baudelaire

Cos’altro aggiungere? Ha detto Baudelaire di questo suo lavoro: “Questi sono i nuovi fiori del male, ma con più libertà, molti più dettagli, e molta più satira.”    
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 Il Lato Oscuro del Simbolismo: Charles Baudelaire e lo Spleen

Charles Baudelaire innova l’opera, ponendosi come precursore del Simbolismo e del Decadentismo. Nel rifiuto del Positivismo, questi movimenti trovano una più profonda indagine sull’animo umano. La sua poesia sarà un viaggio nell’introspezione, dove i sentimenti più oscuri e inesplorati daranno vita a forme artistiche nuove e provocatorie. In tale contesto, lo spleen sarà una potente metafora: l’angoscia esistenziale, una sorta di malattia dell’anima che affliggerà l’individuo moderno, intrappolato tra desiderio e disillusione. Lo “spleen” di Baudelaire è un sentimento intimo e al tempo stesso esprime il tumulto della Parigi di metà Ottocento; questa città stava attraversando una profonda trasformazione con forti contrasti sociali, e l’industrializzazione suscitava meraviglia tanto quanto alienazione. Le strade pulsanti, i caffè affollati e i nuovi movimenti artistici erano aspetti della vita che coesistevano con sentimenti prevalenti di oppressione e malinconia, insinuati nella quotidianità. Nel suo testo, questo dualismo viene sperimentato dove bellezza e dolore si mescolano, offrendo un affresco vivo di una metropoli che, pur così viva, è pervasa da una profonda inquietudine.

Analisi del Testo “Spleen”: Un’Immersione nei Versi dell’Inquietudine

La poesia “Spleen” di Charles Baudelaire si presenta come un’opera intrisa di inquietudine e angoscia esistenziale, articolata in strofe che riflettono la complessità del suo stato d’animo. La struttura metrica è caratterizzata da versi liberi, che enfatizzano il flusso dei pensieri e delle emozioni, mentre le rime spesso rimandano a una musicalità malinconica. Baudelaire utilizza figure retoriche come la metafora e l’iperbole per intensificare l’impatto emotivo; ad esempio, il cielo diventa un “coperchio” opprimente che schiaccia la terra, rappresentata come una prigione claustrofobica. Le immagini evocative, come la Speranza raffigurata come un pipistrello o i ragni nel cervello, creano un’atmosfera di angoscia e disperazione. Questi simboli non solo arricchiscono il testo, ma offrono anche una chiave di lettura profonda dell’animo umano, costretto a confrontarsi con l’oscurità interiore e l’assenza di luce. I funerali silenziosi rimandano a un lutto non solo per la vita, ma per la speranza stessa, suggerendo un’esistenza segnata dalla solitudine. In questo modo, Baudelaire riesce a trasmettere un’esperienza sensoriale intensa, invitando il lettore a immergersi in una realtà dove il dolore e la bellezza coesistono in un delicato equilibrio. Spleen Baudelaire Traduzione  

La Musica dello Spleen: Echi Letterari e Sonorità Moderne

La poesia di Charles Baudelaire, in particolare quella che esplora il concetto di spleen, si intreccia in modo affascinante con le sonorità moderne di generi come il gothic rock e il doom metal. Artisti come The Cure e Joy Division incarnano questa connessione, traducendo l’introspezione e la malinconia dei versi di Baudelaire in melodie oscure e avvolgenti. Le liriche di “The Love Cats” o “Atmosphere” risuonano con l’eco di un’esistenza che si confronta con la decadenza e l’inevitabilità della sofferenza, proprio come nei testi del grande poeta francese. La musicalità dei versi di Baudelaire, con il suo ritmo cadenzato e le immagini evocative, trova un parallelo sorprendente nelle composizioni di band come Swans e Chelsea Wolfe, dove le atmosfere sonore creano un paesaggio emotivo simile a quello della poesia simbolista. In questi brani, il dolore e la bellezza coesistono, permettendo all’ascoltatore di immergersi in un’esperienza sensoriale che rievoca il senso di smarrimento presente nei testi di Baudelaire. Così, la musica diventa un’estensione della sua arte, capace di evocare sensazioni e stati d’animo attraverso un linguaggio sonoro che si fa eco di una poesia senza tempo.

Lo Spleen Oggi: Un Sentimento Ancora Attuale?

Nel mondo moderno, l’idea dello spleen, così come evocata da Baudelaire nel suo testo, continua a risuonare con una forza piuttosto grande. L’angoscia esistenziale, la solitudine e il senso di perdita che un tempo colpivano i poeti del XIX secolo ora elaborano nuove forme: ansia da prestazione, frenesia digitale e un contatto superficiale, che il più delle volte lascia un vuoto interiore. Viviamo in un’epoca in cui il benessere è un obiettivo desiderato, sebbene non sempre raggiunto, e le nostre vite sembrano logorarsi tra aspettative irrealizzabili e realtà disilluse. In molti casi, la tecnologia ci ha avvicinato fisicamente, ma ha anche intensificato il senso di isolamento e trasformato la nostra milza individuale in un malessere collettivo. Troviamo risposte in molte informazioni, ma le domande più fondamentali che riguardano la nostra identità e il nostro scopo rimangono senza risposta. I lettori sono invitati a condividere le loro esperienze e riflessioni su questo tema: come vivi la tua milza oggi? Quali sono le sue manifestazioni nella tua vita quotidiana? Proviamo a costruire un ponte tra la poesia malinconica del passato e la complessa sensibilità del presente, tra bellezza e dolore nell’essere umano.

Per Baudelaire, “spleen” non è solo malinconia, ma un profondo senso di disgusto e noia esistenziale verso la vita moderna, un’angoscia che soffoca l’ispirazione e paralizza l’animo, spingendolo a cercare rifugio nell’arte e nell’artificiale.

Difficile sceglierne solo una, ma “L’albatro” è sicuramente tra le più celebri e amate di Baudelaire. La poesia, con l’immagine del grande uccello marino, diventa metafora del poeta maledetto, incompreso e deriso dalla società borghese.

“I fiori del male” scandalizzò la società del tempo per la sua spudoratezza nel trattare temi tabù come sesso, morte, satanismo e la critica feroce alla morale borghese, tutto espresso con uno stile innovativo e provocatorio.

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