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Recensione : Toro y moi MAHAL (Dead Oceans, 2022)

Toro y moi MAHAL - Dal pantalone a zampa al jeans ultra attillato, dal funk all'elettro, dallo spirito alla carne, dall'alto al basso. Storie di antipodi, appunto.

Toro y moi MAHAL (Dead Oceans, 2022)

Una vita all’insegna delle contaminazioni: nato in California, suo padre è afro-americano e sua madre filippina; come nome d’arte sceglie un pastiche franco-spagnolo; stilisticamente parlando, la sua proposta è un esplosivo connubio di chillwave, indietronica, funk e synth-pop. A tre anni di distanza dall’ultimo disco e a due dal pezzo bomba in collaborazione col genio australiano dell’elettronica Flume, il musicista statunitense torna con “MAHAL”, termine di origine filippina (tagalog, per la precisione) semanticamente ambiguo: significa infatti “amore” e, al contempo, “costoso”. È evidente il gioco di doppi sensi che qui si innescano: l’amore è un che di costoso, certo, in esso investiamo i nostri sentimenti più puri e profondi.

Al tempo stesso, quello amoroso è un perverso rapporto succhia denaro, che ci lascia senza il becco di un quattrino. Dall’alto al basso. Dal sublime al triviale. Dall’amore come atto puro all’amore come merce e nulla più. Ecco, su questi doppi sensi incrociati e agli antipodi si gioca l’intero equilibrio sonoro del disco: ci sono i bassi profondi, vera colonna portante, e gli alti, a volte altissimi, arzigogolii di fiati, chitarre, tastiere. Nel mezzo, quasi nulla, se non la voce, che accompagna più che primeggiare, magistralmente inserita nel mix senza mai stagliarsi in primo piano. 

Premo il tasto play dello stereo; tre, due, uno e mi ritrovo in pieno vibe anni Settanta: il pezzo di apertura è il frutto di una collaborazione con gli Unknown Mortal Orchestra, guidato da una linea melodica di chitarra semplice e super efficace. C’è un chiaro intento old school non solo nella composizione, anche nella produzione: l’uso del flanger per dare dinamica ci porta indietro di qualche decennio, a quando si girava coi pantaloni a zampa e le camicie dal colletto a punta. Si passa a “Goes by so fast”: sax, flauto e voce femminile. Molto belli i passaggi armonici, un brano che trasporta in una dimensione eterea, da viaggio. 

Finora ci siamo a malapena riscaldati, è col terzo brano che si alza un pochino il tiro: il beat si fa trascinante, la voce più incisiva. È il preludio alla prima vera mina del disco: “Postman”, nel corso della quale la testa non riesce a star ferma neppure sotto minaccia: è il giro di basso a farla da padrone, con quel suo suono liquido, bagnato, come una rana che saltella sulle rocce di un laghetto.

 

 

La successiva “The Loop” è l’ennesimo cavallo di battaglia per il basso, saltellante e irresistibile. Si passa poi a un tempo ternario con “Last Year”, dall’indimenticabile coretto che accompagna all’unisono la tastiera a formare un tutt’uno super catchy. È il turno di “Mississippi” e il suo shuffle di batteria riverberata; qui sono le manipolazioni sonore di post produzione a farla da padrone, che alzano e abbassano i toni creando un effetto di apertura/chiusura, un po’ come giocare con il coperchio della caffettiera mentre sta gorgogliando. Il finale di “Clarity” è un saggio di quello che il batterista è in grado di fare: hooks che tolgono il respiro per velocità e precisione.

“Foreplay” contiene una progressione armonica davvero notevole, che denota una preparazione musicale di primo livello. “Déja vu” e la successiva “Way too hot” riportano la lancetta dell’orologio indietro di qualche anno: siamo qui in piena psichedelia Sessanta, con melodie che scaldano come un raggio di sole tardo mattiniero, a fare da contraltare una chitarra ultra satura di distorsione. 

Verso la fine del disco, in maniera quasi messianica, non solo si torna ai Settanta, ma sembra in alcuni punti di essere proiettati verso gli Ottanta, in certo uso delle tastiere, delle ritmiche e soprattutto nei suoni, che si fanno più plasticosi, elettronici quasi.

Dal pantalone a zampa al jeans ultra attillato, dal funk all’elettro, dallo spirito alla carne, dall’alto al basso. Storie di antipodi, appunto.

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Toro y moi MAHAL (Dead Oceans, 2022)

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