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Recensione : Pino Scotto – Dog Eat Dog

PINO SCOTTO: Pulsar, Vanadium e Fire Trails si inchinano al DOG EAT DOG album-bomba!

Pino Scotto – Dog Eat Dog

Se Pino Scotto decide di realizzare un disco di questo tipo, vuol dire che dietro di lui possiamo ancora ballare. Don’t Waste Your Time è cattivaccia e ti lascia sul filo del rasoio a fare il funambolo.
I colori del video sono belli e definiscono tutta la potenza del cielo e del mare. Graffiante è la voce, mentre l’high energy non appesantisce troppo e le marce scalate chiarificano il ritmo risultando una bella trovata equilibrante, tonificante dell’ambiente sonico.

Not Too Late sguinzaglia le chitarre ed è magnifica, da batticuore, Scotto controlla perfettamente le bestie che ha al traino e non deraglia praticamente mai. Se questo è il livello del disco, preciso, nitido, con quell’aura da rock’n’roller ruvido, bene, allora stiamo varcando la soglia dello stato di grazia memorabile. Bravo Pino!!!

Scotto si fa crooner, chiedendo forse un tantino troppo a questa ballad; dovremmo lasciarlo per un po’ di tempo a pane ed acqua permettendogli di strizzare ed asciugare la melodrammatica e pomposa song, salvata comunque dalla puntuale e fantasiosa chitarra. Probabilmente Pino avrebbe dovuto tenere d’occhio le ultime prove di Iggy, ma so di che razza di diavolaccio stiamo parlando; mentre ci getta brillantini negli occhi, sta già provando nelle cantine dell’inferno una versione killer della ruffiana Before It’s Time to Go.

Dai, ci rifacciamo con Right from Wrong, che recupera abbondantemente con i vocalizzi introduttivi. Come on! Siamo di nuovo a cavallo di quel centauro imbizzarrito e metallico, indomabile, che fece tanto bene ai Judas di Painkiller. Lo Scotto regala sfumature ed accenti vocali che fanno sospirare e tornare in quota; certa aria americana spira e i gregari al picco della forma fanno rizzare i peli dal bulbo epiteliale, la poesia verseggia felice e non si intravedono innanzi ulteriori confini di sorta. Big Hit!!!

Oh, mio DDIOOO!!! Sfrecciamo nel turbinio della fantastica giostra cosmica dibattendoci tra Run to The Hills dei Maiden e il metal più cazzuto. Spifferano svisate mitiche che si intrecciano alla gettonatissima sezione ritmica. Mastro Don Scotto delizia dando un tono d’artista alla song, quel qualcosa di dinamico che Michelangelo ha impresso nelle sue migliori opere. Capito il paragone?

La title-track si piazza al centro del discone. Che diamine, sembrano i Trust dei primi eighties rinvigoriti da siringhe elettriche di power metal. Belligerante, vivace, serio, aggressivo!

Con Rock This Town già vedo il campionario da hot road metal. Qui si gusta tutta l’efficacia della band: il cuore batte bollente, si riporta l’epico nella narrazione del genere, comprese le ficcanti virate acrobatiche proprie di un abile top gunner. Centro! Si colpisce ampiamente il centro, perché il pezzo a pelle sfugge alle algide riservatezze delle apparenze, sciogliendo invece accuratamente l’emozione, dandoci ciò che Pino sa meglio fare, cioè, propinare musica innervante. Al divertissment unisce di regola testa e cuore.

One World One Life tiene banco, usa innesti ed artifici interessanti. La potente chitarra governa imperterrita lungo gli stilemi del genere; il mattatore è Mister Pino Scotto che riesce a trovare nel 2020 ancora stille acide di aurea vitalità. Siamo in vena spettacolare di effetti speciali: una rally car su due ruote zigzaga lungo il circuito assolato di Indianapolis. D’altronde la band ha acceso tutti i connettori e gli ampli, per cui godiamocelo selvaggio e ringhiante al massimo della potenza sprigionata.

Mozza il fiato Talking Trash, mica ci fa riprendere il respiro. Chiama guerra, cazzo, e che guerra sia! Lasciamo che il Dog Eat Dog album faccia fino in fondo il suo dovere; ci metta pure uno contro l’altro, ci impronti alla battaglia, ci faccia misurare testa a testa dentro un clima di guerriglia, a patto che si tirino fuori i padiglioni auricolari dal cranio per intercettare certe pregevolezze dall’assetto missilistico. E con questa chicca spacchetta cervelli, presi in castagna dalla costruzione in velocità del pezzo, ecco che il missile ci fa secchi colpendo il cuore. Aah!

Same Old Story sputa Street Rock Blues dalle sue bocche infuocate, ovviamente suona hardissimo, e ci vuole davvero una straficata di pezzo come questo per apporre sull’album la risonante perizia e la felice inventiva. A me pare che il pezzo suoni con una tipica cadenza armonica all’italiana, seppure la matrice anglofona sia dominante.

Don’t Be Lookin’ Back potrebbe essere il pezzo più serio dell’album, come dire, una sorta di “Since I’ve Been Lovin’ You” disseminata tra le altre gemme che compongono il disco.
L’enfasi è richiesta, si stringe benissimo attorno agli strumenti, e di datato rimane solo una minuteria di riferimenti. Sembra oltremodo sincera la matrice ispiratrice del brano e il tono molto HR la inquadra a dovere, come il contraltare elaborato dalla chitarra elettrica, sfiorando il capolavoro di una spanna. Scrosciano grandi applausi!

Schiaccia ogni cosa la track finale – Ghost to Death – che massacra finalmente a dovere, il male è tornato e swirla da gran maestro dei nunchaku. Cribbio, sentimenti di paura assalgono, un clima horror infuria (metafisica la tastiera, piazzata al limitare della genialità) e la guerra musicale ci lascia storditi ed incazzati tanto quanto un rigore sbagliato alla finale della Coppa del Mondo.

Se fin’ora la band ha ‘giocato’ proponendo questo lavoro, beh, qui non vi è più alcun dubbio, l’agognato masterpiece è stato coniato, merito del furore accoppiato alla grana stellare del mood. Possiede Ghost to Death un tiratissimo spirito di rivalsa che mette il pepe al culo e il sale in zucca, come quando in squadra ogni tocco si fa argenteo e l’intesa tra i compagni scatta alla maniera preveggente di capitan Cruijff, del resto diresti che questo è il momento storico entro cui la Sangiovese straccerà sul campo avversario, l’Allianz Stadium di Torino, la Juventus per 5-3.

La band Pino Scotto annovera i talentuosi e valenti: Pino Scotto (voce); Mauri Belluzzo (Tastiere); Leone Villani Conti (Basso); Steve Volta (Chitarra); Federico Paulovich (Batteria).

 

Track List
1. Don’t Waste Your Time
2. Not Too Late
3. Before It’s Time To Go
4. Right From Wrong
5. Dust To Dust
6. Dog Eat Dog
7. Rock This Town
8. One World One Life
9. Talking Trash
10. Same Old Story
11. Don’t Be Looking Back
12. Ghost Of Death

Etichetta Label:Nadir Music


 

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3 Commenti
  • Avatar
    Nicholas
    Inviato a 00:18h, 23 Agosto Rispondi

    Ma è una recensione sta roba? Tutta questa enfasi per l’ennesima ciofeca di pino scottex, ma vergognatevi, non avete neanche le palle per ammettere che pino fa dischi di valore nullo, solo un sordo o gente abituata ad ascoltare i Modà può dire che i dischi di pino sono belli, e questo non fa eccezione…!

    • Avatar
      admin
      Inviato a 10:27h, 23 Agosto Rispondi

      Ciao Nicholas, sono Simone non ho scritto la rece e non ho ascoltato il disco. Premetto che anche a me non piace e non mi è mai piaciuto Pino Scotto, ma volevo sottolineare due cose: è possibile che al mondo ci sia una persona a cui piaccia questo disco? Posso assicurarti che qui di persone che scoltano i Modà non ce ne sono te ne sai accorto visitando il nostro sito.Grazie Ciao

  • Avatar
    Nicholas
    Inviato a 00:20h, 23 Agosto Rispondi

    Ma non fatemi ridere… Discone questo? Ma sturatevi le orecchie per favore…

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