Dopo anni di onorata carriera live,costellata da una serie infinta di concerti,con il costante desiderio di emulare i grandi del blues del passato e non (primi fra tutti i Rolling Stones) ,giunge finalmente a noi il primo lavoro “in studio” delle Trois Tettons. Conoscendoli direttamente, e avendo la fortuna di aver assistito spesso ai loro shows,devo ammettere che il primo ascolto di “Sweet Dancer” mi ha non poco stupito e spiazzato. Non trovavo,se non in pochi episodi,la vena scoppiettante,se non genuinamente cacciarona,che da sempre contraddistingue le loro esibizioni e,in un primo momento,la cosa mi ha un po’ sconcertato se non addirittura deluso. Ma visto il mio impegno nei loro confronti di un giudizio critico sereno e imparziale,non mi sono fermato ad un primo superficiale ascolto ma mi sono addentrato nei loro pezzi con ,aggiore attenzione riuscendo,in seconda battuta,ad apprezzarne la qualità e la profondità. Ed è grazie alla mia costanza di ascoltatore che ho potuto apprezzare l’incedere waitsiano di “River boat gipsy” (se non fosse per la voce di Robby che,sia pur valida,non può rivaleggiare con quella originale si potrebbe pensare ad un brano di “Rain dogs”),le influenze dylaniane di “Lullaby”,il boogie di “Stocking feet boogie” che ricorda i Little feat,l’intimismo morrisoniano (Van non Jim) nella ballata “Change”,per concludere con il lento strascicato “Some friends” brano stonesiano fino al midollo. Nonostante prescinda dal contenuto puramente musicale,una nota di merito ulteriore va ascritta alla copertina,splendidamente fuorviante. A quanti,nonostante i miei sperticati elogi,non siano ancora pienamente persuasi all’ascolto di questo disco,aggiungo un ulteriore particolare:chi fra voi hai il cuore di negare una,sia pur minima possibilità,ad un chitarrista(nella fattispecie Barbo) che esordisce su cd passati i cinquant’anni. Non ditemi che siete tutti così poco sensibili!