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Recensione : LES LULLIES – MAUVAISE FOI

A cinque anni dal fragoroso album di debutto omonimo (un ruspante affresco di dieci episodi di veloce garage punk senza fronzoli) i francesi Lullies tornano sulle scene con un nuovo disco, “Mauvaise Foi” (Bad Faith) uscito, a fine maggio, sempre su Slovenly Rercordings.

Il secondo Lp del quartetto transalpino segna una parziale svolta, sia linguistica, col quasi totale abbandono della lingua inglese nei testi (a eccezione di un solo brano) in favore di liriche scritte e cantate nella loro madrelingua d’oltralpe, sia musicale, con un approccio alla materia garagistica più smussato e levigato verso lidi più affini al power pop, pur conservando un sound improntato su un esuberante high energy rock ‘n’ roll.

Il full length parte forte con la title track posta subito in apertura, dove i nostri (“T.Boy” al basso, Manuel “Manah” Monnier alla batteria, François Bérard alla chitarra e voce e il frontman/chitarrista Roméo Lachasseigne, ex Grys-Grys) creano un ponte con la carica degli esordi, ma già dal secondo pezzo del lotto, “Pas De Regrets“, emerge una maggiore vena melodica che, comunque, non inficia molto sulla bontà del risultato finale (un pub rock à la Eddie and the Hot Rods anfetaminizzato) e anche in “Ce Que Je Veux” si respirano piacevoli atmosfere power pop e glam, e nella successiva “Soirée Standard” riecheggia un rhythm and blues velocizzato con fragranze di Dr. Feelgood. “Ville Musée” prosegue ancora su coordinate pop ma, arrivati a metà dell’album, la band di Montpellier improvvisamente si scuote e riparte in quarta con “Zéro Ambition“, frenetico punk rock che ha tutte le caratteristiche per assurgere a nuovo “classico” da suonare a tutta birra ai concerti per far pogare la platea, seguita dall’altro singolozzo “Dernier Soir“, meno deragliante del precedente, ma ugualmente in grado di far muovere il piedino e la testa a tempo. “When you walk in the room” è la cover di un brano Sixties (di Jackie DeShannon) l’unico pezzo cantato in inglese, rivitalizzato e riaggiornato in chiave power pop, mentre le conclusive “Station Service” e “Animal” tornano su sentieri punk/glam più congeniali al quartetto.

Gli ultimi tre anni sono stati difficili un po’ per tutti, soprattutto per quanto riguarda i gruppi e la musica in generale, tra lockdown, restrizioni e protocolli da rispettare, e sicuramente la pandemia da covid-19 ha rallentato anche l’attività dei Lullies che, a livello di seguito di pubblico costruito grazie a live shows infuocati (come documentato anche dalla diretta esperienza del “collega di penna” Tommaso Salvini) era un treno in corsa. Un cambiamento di rotta verso canzoni più ragionate e meno istintive potrebbe essere anche indice di maturità, vuoi per il fatto che siano passati cinque anni del primo long playing, e nel frattempo il mondo è finito sottosopra, vuoi per il fatto che magari i singoli membri del combo abbiano approfittato del tanto tempo a disposizione (senza suonare) per lavorare di più sulle nuove canzoni e ottenere una migliore messa a fuoco delle loro intenzioni soniche, fatto sta che “Mauvaise Foi” risulta essere un disco più “maturo” rispetto al primo S/T, con maggiore attenzione alle melodie e alla costruzione armonica dei pezzi. When Ramones and Dickies meet Real Kids and Phil Spector.

 

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