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Recensione : LATTE+ – WORLD OF RETARDED

LATTE+ – WORLD OF RETARDED

Ho scoperto i toscani LATTE+ nell’ormai lontano 2002, cioè ai tempi del loro album d’esordio, “Guerriglia Urbana“, grazie al videoclip della title track che a volte intercettavo su Rock Tv (quando era ancora in fasce e passava roba decente) e a una di quelle compilation generiche sul punk rock che venivano pubblicate in allegato a (oggi defunte) riviste musicali che una volta (in maniera più copiosa, varia e abbondante rispetto a questi ultimi quindici-vent’anni, fagocitate dal “tutto e subito” di Internet che ha messo in crisi il settore dell’editoria cartacea) uscivano nelle edicole (anche queste ultime stanno lentamente sparendo…) e che a volte compravo prima di entrare a scuola. Il brano presente su quella compila proveniva sempre dal loro primo Lp ed era “Ragazza americana“. Da allora ho sempre nutrito simpatia per questi ragazzi, vuoi per il fatto che avessero un moniker ispirato ad “Arancia meccanica”, ma soprattutto per il fatto che non scrivessero testi troppo banali per essere (tardo)adolescenti, anzi: accanto alle “classiche” tematiche goliardiche e amorose, trattavano anche di temi seri come la globalizzazione, la malapolitica, animalismo, terzomondismo, la critica alle brutture e alle ipocrisie dello stato “democratico”, alla globalizzazione, alle multinazionali e alle guerre alle quali partecipa attivamente il sistema occidentale servo dell’imperialismo guerrafondaio yankee U.$.A., gli abusi polizieschi, il lavaggio del cervello operato dalle religioni sulle masse, gli effetti dell’analfabetismo funzionale sul popolino, e il me diciassettenne dell’epoca (voglioso di distinguersi, a livello musicale e concettuale, dal conformismo della mandria di liceali che per il 99% vestivano e pensavano tutti allo stesso modo e ascoltavano quella immondizia di musica eurodance e il becero poppettino da radio mainstream e Festivalbar) si trovava in sintonia con l’alienazione, l’inquietudine adolescenziale e il disagio di vivere in provincia, di avere a che fare con gente che non capiva (e non capisce) un cazzo e rincorre lo status symbol in una società malata di protagonismo e apparenza, le incomprensioni coi genitori, il rifiuto della famiglia convenzionale italiota stile spot della mulinobianco, la consapevolezza di essere sfigati in un mondo di furbi e arroganti, la precarietà del vivere quotidiano, la voglia di evadere dal grigiore di una realtà senza prospettive e di cercare altrove una vita migliore e più interessante/divertente. Sono passati oltre venti anni, sono cambiati alcuni gusti musicali e modi di vivere e agire, ma quei sentimenti e quegli stati d’animo sono rimasti grosso modo gli stessi, nonostante stia iniziando a spuntarmi qualche capello bianco, ma certi problemi e situazioni non cambiano mai. Sono anche riuscito a vederli suonare dal vivo (in un locale che, manco a dirlo, poi ha chiuso i battenti) e anche in quel contesto hanno confermato il loro essere veri e ruspanti, si vedeva che non recitavano la parte dei “punkettoni da dopolavoro”, a differenza di tanti poseur che indossano una divisa “trasgressiva” solo durante i concerti e poi smettono gli abiti da “ribelli” una volta scesi dal palco e magari di giorno vanno anche a lavorare in banca.

Attivi dalla seconda metà degli anni Novanta, emersi dalla scena “flower-punk” e sempre rimasti genuinamente underground, i LATTE+ hanno pubblicato quest’anno, su ProRawk Records, il loro ottavo lavoro sulla lunga distanza, “World of Retarded“, che arriva a quattro di distanza dal precedente Lp “Next to ruin” (e a tre dalla raccolta “LATTE+ For Dummies“) registrato a Milano, è cantato interamente in inglese (come già accaduto per le prove precedenti) e si muove sulle consuete coordinate sonore che, da sempre, caratterizzano la proposta del trio (che dal vivo diventa quartetto, con l’aggiunta del chitarrista Domenico Gentile aka “Sunday”) empolese: l’amore per il punk rock di Ramones (anche esplicitamente dichiarato nel pezzo “My heart belongs to the Ramones“, o in altri titoli a loro ispirati, come “Laura is a punk rocker“, “Creepy basement“, “Little boy” o la title track) Screaching Weasel, Head e Queers (dei quali rifanno “Born to do dishes“) mescolato a melodie pop fresche e azzeccate, il tutto concentrato in brani veloci, immediati, energici e potenti, che si risolvono al massimo entro i tre minuti di durata (anche nelle semiballad “Hurricane“). Con “World of RetardedChicco (frontman/chitarra Mosrite) Jay (basso) e Puccio (batteria) ci regalano una nuova mezz’ora sonica condita dal loro marchio di fabbrica: punk rock dritto al punto, senza fronzoli (come “This place looks like hell“, anthem ideale per essere pogato e cantato a squarciagola ai concerti) irriverente (soprattutto in canzoni rinominate “Rock ‘n’ roll farts” o nella Bad Religion oriented1980“, che si chiude con una mezza “cover” strampalata di “Believe” di Cher!) Ramonescore che si stampa subito in testa e ci rimane a lungo. Questi ragazzi “sanno fare bene la loro cosa”, confermano di essere, da venticinque anni, una delle realtà nostrane più valide (e anche sottovalutate) in ambito punk, e attraverso l’universalità della lingua inglese meriterebbero di essere apprezzati da un pubblico più ampio.

Ma questa recensione non può finire senza rivolgere un affettuoso saluto al batterista Puccio che qualche mese fa, purtroppo, è stato colpito da un aneurisma cerebrale che lo sta costringendo a un lungo periodo di stop che richiede calma e tranquillità, pertanto la band finora non ha potuto promuovere adeguatamente il nuovo long playing dal vivo (dovrebbe iniziare a farlo in maniera acustica nei prossimi mesi e, nell’attesa di riavere Puccio pienamente operativo dietro le pelli, ha in programma, per il prossimo anno, di riregistrare brani dal repertorio in italiano, insieme a due inediti) ma in segno di vicinanza e supporto, ha deciso di aspettare la sua completa guarigione per tornare a provare e suonare tutti insieme. Un gesto sicuramente da lodare e che mette in risalto, ancora di più, il valore umano di queste persone, che va al di là dell’essere musicisti e/o intrattenitori. Forza Puccio, gabba gabba hey!

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