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Recensione : Jeanines – How long can it last

Jeanines: il duo indie pop di Brooklyn che sfida l'AI musicale con il loro nuovo album "How long can it last". Scopri il sound jangle pop autentico di Alicia Jeanine e Jedediah Smith.

Ci sono band che non esistono nella vita reale, sono create dalla Deficienza Artificiale e pubblicano album fittizi, formulati dal marketing degli algoritmi nel giro di un amen, su piattaforme streaming che – oltre a dopare il mercato a colpi di stream fasulli e dispensare dischi di platino finti – invece di pagare equamente una miriade di artisti in carne e ossa, preferiscono investire centinaia di milioni di euro per finanziare aziende e compagnie di tecnologia militare che producono software, droni, sottomarini e armi da guerra (servendosi ancora della Deficienza Artificiale).

E poi, per fortuna, ci sono anche i gruppi veri, quelli che non si arrendono a voler essere/diventare prodotti creati dalle macchine, e per arrivare a registrare un disco (bramando, spesso, il sogno di poter riuscire a vivere solo dei propri sforzi e della propria musica) sono costretti a fare sacrifici enormi, anni di gavetta facendosi il mazzo a sbattersi a suonare in ogni cesso della propria nazione e all’estero. Progetti come, ad esempio, i Jeanines. Niente simulazioni, né storytelling assemblati da calcoli meccanici e codici freddi e spersonalizzanti, ma un ensemble umano (un duo composto dai polistrumentisti Alicia Jeanine e Jedediah Smith, spesso coadiuvati da Maggie Gaster al basso e voce) formatosi a Brooklyn – New York – nel 2010 ma che ha debuttato sulla lunga distanza solo nel 2019, e quest’anno è giunto alla pubblicazione del terzo long playing complessivo, “How long can it last“, uscito sulla benemerita Slumberland records (in collaborazione con Skep Wax) a tre anni di distanza dalla precedente prova “Don’t wait for a sign“.

Il sound dei Jeanines si muove, da sempre, su coordinate indie/jangle pop di matrice Eighties (Marine Girls, Dolly Mixture, Shop Assistants, Pastels, Black Tambourine, Velocity Girl, Heavenly) di scuola Cherry Red/Sarah Records/C86 con un quid di minimalismo squisitamente dilettantesco-DIY à la Television Personalities misto Beat Happening. Il che si traduce in brani che raramente superano la soglia dei due minuti di durata, melodie folk/pop, full lenght che bruciano in fretta, ma con le loro armonie soavi e dolceamare Beatlesiane/BeachBoysiane (senza dimenticare, ovviamente, i maestri Byrds) lasciano nell’ascoltatore il desiderio di abbeverarsi più e più volte alla loro fonte sonica. Anche in questo capitolo, ogni elemento è al posto giusto e calibrato con brillante mestiere, i tredici pezzi vanno giù tutti d’un fiato, in un continuum di gemme e pepite splendenti che va dalla title track a “You can’t get it back“, “Coaxed a storm“, “On and on“, passando per “That’s what you say“, “What’s lost“, “What you do” o “Satisfied“, emanando un feeling che sa di K Records e feste di compleanno a casa di Calvin Johnson, tra innocenza Sixties, maglioni di lana con ritratti di animali e pupazzi, succhi di frutta e torte zuccherose con retrogusto amaro.

Se mai avessimo il potere di far fallire il delirio di immondizia generata artificialmente dall’impero dell’algoritmo che vuole infinocchiare il mondo vendendogli la nostalgia del ricordo di epoche mai vissute, useremmo “How long can it last” (che, manco a farlo apposta, si può tradurre come: “Per quanto durerà?”) come un ariete per scardinare questo universo fake alimentato da gente affarista, senza scrupoli, ricca nel portafogli ma povera nell’anima e mentalmente. Fanculo all’AI nella musica. Human DIY is the real deal.

To Fail

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