Recentemente abbiamo recensito su queste pagine l’ultimo disco dei La Città Dolente “In A World Full Of Nails I Have Got Nothing But My Hands” sulla meravigliosa Toten Schwan Records, duo milanese di noise e mathcore, ma soprattutto rabbia e critica rumorosa contro questa società. Grazie a Orazio di DoppioClic abbiamo avuto l’occasione di fre due chiacchiere con i membri dei La Città Dolente, seguite soprattutto il loro ultimo consiglio.
– Ciao come nasce il gruppo ? –
La Città Dolente nasce a fine 2017 come una band composta da 4 elementi. Con questa formazione abbiamo pubblicato il nostro primo album, “Salespeople”, e suonato diversi concerti fino al 2023. Proprio in quell’anno, due dei membri (chitarrista, Max, e bassista, Ezekiel) hanno lasciato il gruppo, ed è così che è nata l’idea di continuare come duo.
– Da dove viene il vostro suono che è così particolare e molto intenso ? –
Nel passaggio da quartetto a duo, abbiamo modificato decisamente il nostro approccio al suono e alla composizione. Se “Salespeople era un album influenzato da un mathcore più classico (Converge, The Dillinger Escape Plan, Botch), il nuovo album è molto più lento e minimale nell’approccio, prendendo spunto da band come Ion Dissonance, Car Bomb, Fontierer per i suoni e soluzioni ritmiche.
– Dai vostri testi mi sembra che come me, voi lavoriate a contatto con il pubblico, giusto ? –
In realtà uno di noi ha un lavoro d’ufficio in una grande compagnia mentre l’altro è al suo secondo percorso di studi universitario. Nonostante la rabbia, non ci sentiamo di sparare a zero sul consumatore ultimo. Nella nostra realtà economica vediamo già un’eccessiva atomizzazione delle responsabilità che rimuove entità collettive come gli stati, le aziende e le banche nella continuazione dell’oppressione del lavoro salariato. Ad esempio, questo si riflette nel movimento del riciclaggio e del greenwashing come de-responsabilizzazione del produttore primario di quelle cose che poi intasano i mari e i nostri corpi con le microplastiche ma ci sono altri casi dove viene messa enfasi sul singolo come portatore di cambiamento.
– Nella nostra epoca la merce ed il lavoro sono due lati della stessa schiavitù, e la gente non pensa mai a quanto dolore e problemi ci siano dietro le vetrine di un negozio, o dietro la scritta sconti…-
Quello di cui parliamo è proprio l’impossibilità di potersi relazionare in una maniera che non sia vendersi (o svendersi), in una realtà in cui il profitto permea ogni spazio sociale fino alle nostre relazioni e i nostri pensieri più intimi. In una società in cui tutto è quantificato e quantificabile con dei numeri o un valore monetario, la vita stessa smette di avere rilevanza oltre questo. Non a caso il linguaggio comune denota una cosa o una persona per un suo “valore” invece che con quello che significa nel contesto in cui è.
– Il dolore diventa musica, e la musica può essere essa stessa dolore ? Certamente non intrattenimento…-
Potremmo dire che quello che cerchiamo di esprimere quando suoniamo è dolore, ma attraverso l’estraniamento: vogliamo che chi ci ascolta possa relazionarsi subito con la nostra musica, scontrandosi con dei suoni minimali e potenti, ma non completamente, per via dell’inserimento di cambi di tempo e di modulazioni ritmiche. In fondo è così che ci sentiamo visto ci scontriamo con una realtà che ci lascia devastati e confusi.
– Il vostro suono è senza tregua, incessante e sinuoso, come nascono le vostre canzoni ? –
Sostanzialmente entrambi portiamo dei riff spesso basati su delle “cellule ritmiche”. A quel punto vediamo quali stanno bene insieme e incominciamo a creare variazioni ritmiche a partire da queste “cellule”. Quando siamo soddisfatti del bilanciamento “storto, ma ancora diretto”, ci buttiamo nell’imparare e perfezionare la canzone.
– Quali sono le forme di resistenza che possono essere fatte con la musica e con un diverso approccio al capitalismo musicale ? –
Sicuramente uno dei nostri approcci è quello di produrci il più possibile parte del merch da noi e renderlo disponibile come “offerta libera”, dove questo non è possibile cerchiamo di vendere il merch praticamente al costo di produzione. I concerti a cui prendiamo maggiormente parte sono organizzati in luoghi occupati o con un’etica DIY. Cerchiamo sempre di supportare la scena underground nella sua versione anticapitalista, e qual ora suonassimo in spazi che non lo sono, rendiamo sempre chiaro il nostro messaggio.
– La diversa fruizione della musica ha portato ad una perdita di significato o i dischi possono ancora essere veicoli di cultura ? –
Crediamo che il “disco” possa ancora essere significativo nella scena underground. Quello che però ci interessa, più che la forma in cui venga lanciato, è che sia chiaro il messaggio: qualsiasi forma, in quanto tale, sarà necessariamente capitalista nella nostra realtà, quello che importa è che questo gene culturale ansiogeno trovi spazio nell’ambiente in cui viene liberato. Al contrario di McLuhan crediamo che il messaggio e il medium possano essere distinti e valevoli indipendentemente.
– Da quali fonti vengono i vostri parlati tratti da fimo o opere ? –
L’intro e l’outro vengono dal podcast “Behind the Bastards”, in particolare da una puntata in cui si parlava di Andrew Tate e di come personaggi tossici come lui promettono una via di uscita dal “sistema” mentre invece rimestano e rinvigoriscono il dolore e l’angoscia che questo crea, attraverso una retorica maschilista e becera. L’ulteriore livello che questa puntata ci dona è che il sapere di non essere mai veramente liberi; lo stesso conduttore, dopo una fortissima critica capitalista, si ritrova a lanciare uno stacco pubblicitario, con il quale noi abbiamo pensato di iniziare l’album. Viene ripreso poi il ritorno in studio; le altre persone dicono chiaramente di non stare bene, come vorremmo che le persone che ci seguono stessero. Gli altri samples vengono dal videogioco “Disco Elysium” un cult che esplora molteplici sfaccettature della società odierna in un modo unico, un altro da “Killa kill” dove si dibatte la natura della volontà in termini che noi rigettiamo, e dal film “The Cube” un esempio di maestria della metafora e dell’orrore della macchina economica contemporanea.
– Se volete, dite quello che vi pare.-
Solo un consiglio per fruire al meglio di questo album: prendetelo e sparatelo a tutto volume in faccia al vostro datore di lavoro.
-Grazie mille per tutto.-
Grazie a voi per averci dato spazio.