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Recensione : Indesinence – Iii

Un lavoro che si propone tra i migliori dell'anno in ambito doom per la sua grande intensità.

I londinesi Indesinence tornano a proporre il loro oscuro death doom a tre anni di distanza dall’ottimo “Vessels of Light and Decay”.

III è, come si intuisce facilmente, il terzo full length della band, nata all’inizio del secolo ma non troppo prolifica in quanto ad uscite discografiche, in linea del resto con la gran parte di chi si dedica al genere; peraltro, a tale proposito, non va dimenticato che spesso queste uscite superano di gran lunga l’ora di durata e questa non fa eccezione.
È molta, quindi, la carne al fuoco per gli appassionati, i quali hanno la possibilità di ascoltare una delle band migliori quanto sottovalutate dell’intera scena.
La peculiarità degli Indesinence risiede fondamentalmente nell’esibire una versione minacciosa ed irrequieta del death doom, nel senso che l’aspetto consolatorio del genere viene sovente rimpiazzato da violente accelerazioni, quasi uno strappo volto a reagire al destino ineluttabile.
Le sfuriate in doppia cassa si manifestano senza preavviso e contribuiscono a tenere sempre sul chi vive l’ascoltatore, quasi con la funzione di impedirgli di essere sopraffatto dalla malinconia abbandonandosi all’illanguidimento.
Il sound della band è in linea con quello della scuola britannica, quindi con gli Esoteric quale parziale riferimento ma, ovviamente, con un’anima estrema ben più evidenziata ed un impatto senz’altro maggiormente diretto, in un ambito stilistico pertanto più vicino al death che non al funeral .
Nostalgia, primo vero brano dopo l’intro Seashore Eternal, fotografa al meglio il sound degli Indesinence : in questa traccia troviamo tutto ciò che il trio londinese immette nel proprio sound: rallentamenti, sfuriate, evocative melodie ed l’efficace growl di Ilia Rodriguez.
Embryo Limbo si muove sulla falsariga del brano precedente, mentre Desert Trail  si ammanta di un’oscurità annichilente, sia nelle sue sembianze funeral sia in quelle quasi brutal che l’ottimo assolo chitarristico finisce per unire idealmente.
Strana, e non poco, Mountains of Mind / Five Years Ahead che, già dal titolo parrebbe essere costituita da due tracce diverse, e così è di fatto, con lo stacco non da poco tra le atmosfere mortifere che si dipanano per oltre dieci minuti  ed il più orecchiabile gothic doom alla Paradise Lost degli ultimi tre giri d’orologio; scelta bizzarra ma dal risultato finale comunque convincente.
L’impronta disperata della voce in Strange Meridian si staglia su tastiere dolenti lungo i suoi diciassette minuti senz’altro difficili da digerire ma invero magnifici, nei quali la luce lasciata filtrare dalla chitarra solista nella seconda parte è qualcosa in più di un semplice barlume.
La title track, infine, altro non è che una lunghissima traccia di matrice ambient drone, di buona fattura ma che nulla aggiunge o toglie al valore di un lavoro che si propone tra i migliori dell’anno nel settore per la sua grande intensità.

Tracklist:
1. Seashore Eternal
2. Nostalgia
3. Embryo Limbo
4. Desert Trail
5. Mountains of Mind / Five Years Ahead
6. Strange Meridian
7. III

Line-up:
Andy McIvor – Bass, Lead Guitar
Ilia Rodriguez – Lead & Rhythm Guitars, Vocals, Keyboard
Paul Westwood – Drums

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