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Recensione : Amarok – Resilience

La cifra compositiva degli Amarok è piuttosto personale in quanto, rispetto al più canonico sludge doom, la band californiana non teme di rallentare i ritmi fino a sfiorare un’asfissia scongiurata dal mood atmosferico e melodico che pervade buona parte di un lavoro riuscito come Resilience.

Anche se sono attivi ormai da una quindicina d’anni, gli Amarok con questo loro ultimo album intitolato Resilience approdano solo al secondo full length, dopo Devoured risalente ormai al 2018.

Lo sludge doom della band californiana ha preso corpo e ulteriore sostanza nel corso del tempo, dando continuità (come testimoniato anche dalla scelta di inserire la numerazione progressiva nel titolo di ogni brano a partire dall’ep d’esordio del 2010) a un sound che oggi non si colloca neppure così lontano da quello dei magnifici Abandon, anche se non so quanto questa influenza possa essere indotta oppure casuale; del resto, sia l’evocazione di un senso di straziante sofferenza sia le potenti venature funeral rimandano con forza a un capolavoro come The Dead End, canto del cigno dei seminali svedesi.

La cifra compositiva degli Amarok è comunque quanto mai personale, proprio perché rispetto al più canonico sludge doom, la band guidata dai due membri originari Brandon Squyres (basso e voce) e Kenny Ruggles (chitarra e voce), qui coadiuvati come in Devoured da Nathan Collins (chitarra) e Colby Byrn (batteria), non teme di rallentare i ritmi fino a sfiorare un’asfissia scongiurata da un sempre presente mood atmosferico e melodico.

Le quattro lunghe tracce (più interludio strumentale) sono piuttosto varie e differenti tra loro per caratteristiche e umore, pur senza sconfinamenti rispetto a un’apprezzabile ortodossia stilistica: Charred (X) possiede un’impronta solidamente sludge, solo intersecata da una delicata rarefazione nella parte centrale, Ascension (XI) è meravigliosamente funeral nella sua accezione più pura, Penance (XII) vive della dicotomia tra il melodico incedere della fase iniziale prima della ruvida accelerazione nella sua seconda metà, mentre infine Legacy (XIII), con il suo andamento più cadenzato e relativamente arioso, raffigura idealmente la capacità di risollevarsi dalle devastazioni (fisiche nel primo caso, morali nel secondo) che accomuna in fondo sia la natura che gli uomini, intesi però più come singoli individui che non come specie.

Con Resilience gli Amarok si candidano come autori di uno dei migliori album sludge doom dell’anno, sicuramente almeno per quanto riguarda la frangia più profonda e introspettiva del sottogenere.

2024 – Vendetta Records / Vulture Print

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