Gli indiani Heathen Beast sono una tra le band più peculiari e controverse tra quelle che suonano metal nel grande paese asiatico.
Controversi loro malgrado, sia chiaro, visto che la denuncia puntuale e senza mezzi termini dell’egemonia induista, a scapito di chi non aderisce in toto alla religione della sacra trimurti, ha creato al gruppo non pochi problemi, costringendone per esempio i componenti a celare la propria identità per non incorrere negli strali di un governo sempre più appiattito sulle posizioni del RSS (associazione di estrema destra di matrice religiosa della quale fece parte l’attuale primo ministro).
Ma, al di là dell’aspetto prettamente politico, il messaggio degli Heathen Beast è quanto mai attuale e riveste come non mai un carattere di urgenza; “Every religion preaches the same / Every story, every teaching, a common thread prevails / Can you not open your eyes and see it is fake? / A tool to divide and control, enslave the human race…” ci dice senza troppi giri di parole il trio indiano. La religione, oggi, è il vero cancro che rende invivibile il pianeta: le guerre, gli attentati, le discriminazioni di ogni tipo, alla fine traggono linfa dal travisamento di filosofie che l’uomo nei secoli ha interpretato a proprio uso e consumo, facendole sfociare in forme di reciproca intolleranza.
Il fatto che questa recensione esca pochi giorni dopo la strage di Nizza, potrebbe farla sembrare influenzata da quei tragici fatti: è vero, la violenza fisica ci colpisce direttamente e ci sgomenta, ma ne esiste anche una di matrice morale che produce disuguaglianze, come accade anche in un paese “pseudo civile” come il nostro dove, in nome della codificazione del concetto di famiglia attribuita ad un dio “misericordioso”, migliaia di persone ritengono normale scendere in piazza non per rivendicare i propri diritti, bensì per negarne il riconoscimento ad altri …
Gli Heahen Beast divengono, così, il braccio musicale di chiunque auspichi un’umanità capace di agire utilizzando il proprio intelletto e non seguendo per filo e per segno i dettami attribuiti per lo più a personaggi di fantasia e, cosa più importante, lo fanno attraverso una forma di metal fresco ed accattivante.
Il black death del trio indiano è intriso di elementi etnici che si esplicitano tramite l’uso degli strumenti tradizionali, e ciò avviene in maniera fluida, sicché tabla, sitar, carnatic violin e shankh, si inseriscono in un tessuto estremo senza apparire mai dei corpi estranei.
Come i migliori sovversivi, gli Heathen Beast, fin dal 2010 , hanno agito in maniera ficcante ed essenziale, cercando di incrinare il sistema con colpi improvvisi ma ben assestati, sotto forma di brevi Ep contenenti tre brani ciascuno: chi volesse recuperare i lavori precedenti può usufruire in un sol colpo della compilation Trident, uscita lo scorso anno che racchiude, appunto, i primi tre Ep (Ayodhya Burns, The Drowning of the Elephant God, The Carnage of Godhra): anche in quel caso la pubblicazione è stata curata dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi, uno dei massimi agitatori della scena musicale estrema nel suo paese, il quale non si è fatto certo intimorire da possibili interferenze verso il suo lavoro di discografico e promoter.
Del trittico di brani contenuti in questo Ep, Rise of the Saffron Empire e Swachh Bharat sono quelli che presentano le maggiori contaminazioni di natura etnica, ma la title track, in particolare, è una prova magnifica che rende perfettamente l’idea del valore degli Heathen Beast, al netto delle loro posizioni politiche e religiose: è una dote di pochi quella di riuscire a far convivere con tale naturalezza la musica tradizionale ed il metal estremo, mantenendo sempre viva l’attenzione con cambi di tempo che conducono l’ascoltatore lungo una via maestra contrassegnata da splendide melodie.
Rise of the Saffron Empire, a quanto pare, rischia d’essere l’ultimo atto di un percorso affascinante ma oltremodo pericoloso per i loro autori: la musica degli Heathen Beast è tra le proposte più stimolanti tra quelle che ci è dato ascoltare di questi tempi, se poi aggiungiamo che gli argomenti trattati sono quanto mai reali e pregnanti, il suo valore non può che aumentare in maniera esponenziale. Resta solo da sperare che il sedicente Carvaka non getti definitivamente la spugna, sarebbe davvero una grossa perdita, non solo limitata all’ambito musicale.
Tracklist:
1. Rise of the Saffron Empire
2. The Systematic Annihilation of Islam
3. Swachh Bharat
Line-up:
Carvaka – Vocals/Guitars
Samkhya – Bass
Mimamsa – Drums
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