Premere play sull’album di debutto di Halima è come aprire la porta blindata di un club di Brooklyn, pensando “sarà il solito posto”. E invece no. Nel locale di Halima non si servono superalcolici ma succo ai frutti rossi, e le pasticche si lasciano all’entrata per gustarsi biscotti e fette di torta fino all’alba. Il titolo, “SWEET TOOTH”, non è un vezzo, ma la corazza che Halima usa per difendersi dal mondo. Perché chi è “goloso” impara presto cosa significa essere giudicato: sensi di colpa, vergogna, la sensazione costante di dover chiedere scusa per ciò che si è. Il progetto è la resa dei conti per la cantante, il suo modo di affrontare l’immagine ribaltata nello specchio e essere veramente sè stessa.
Nata nel New Jersey, cresciuta con la madre tra Lagos e Londra, la passione per la musica di Halima inizia giovanissima, con una chitarra comprata a 10 anni risparmiando sulla paghetta. Da allora non si è più fermata: dal singolo di debutto solista nel 2018, agli EP “XYZ” (2021) e “EXU” (2024), fino all’LP d’esordio nel 2025 su drink sum wtr. Il suo sound è eclettico, alternativo, sicuramente non conforme agli standard di un’industria musicale che da una donna nera pretende un R&B fatto a regola d’arte. Halima è britpop, è afrobeat, neo soul, indie, house, e soprattutto è capace di cambiare faccia ogni volta mantenendo la stessa inconfondibile voce e risultare credibile con ogni volto. “SWEET TOOTH” è un club newyorkese in cui chiunque è ammesso e, dietro la console, Halima cambia continuamente travestimento. Prima una Tracy Chapman malinconica, poi una Beyoncè scatenata sul dancefloor, dopo ancora una Eartha Kitt in erba che si muove sui bassi di “cocoa body” Per scoprire ogni sua sfumatura non ci resta far altro che rispondere “aggiungimi in lista” al messaggio in dm del club che chiede insistente “e tu, ci sarai?”. E goderci la serata.
Il viaggio parte già in metro, o in taxi, cuffiette nelle orecchie, con “omoge” (“bella ragazza” in Yoruba, lingua parlata in Nigeria), dichiarazione d’amore a una ragazza che apre il disco e prepara al suo groove sensuale. In coda fuori dal locale, tutto quello che sentiamo è un suono sommesso di un beat incalzante, seducente, che aumenta la voglia di entrare. “Eleven eleven” è garage pop britannico allo stato puro, da far invidia a Nia Archives, CLIPZ e soci. Non c’è il solito odore acre dentro al club: profumo di torta appena sfornata, bicchieri di latte caldo sul bancone, e “eau de vie” in sottofondo, la traccia simbolo dell’album, un upbeat sexy come quelle caramelle che scoppiettano in bocca. Halima alla console, tra un drop e l’altro, torna al britpop con “oops”, perfetta per scendere in pista e dimenticare i drammi della settimana. La title track “sweet tooth” è un afrobeat delicato, omaggio alle radici nigeriane della cantante, che a tratti ricorda la Tems di “Born in the Wild”.
“Cocoa body” è il momento clou, il pezzo suonato alle due di notte che tutti stavano aspettando. Dannatamente elettrica, cardiaca, sensuale, è una fragola immersa nel cioccolato fondente messa tra le labbra da uno sconosciuto perso tra la folla. Le persone stanche iniziano a sedersi sui divanetti, mentre dalle casse partono le note dolci amare di “laundromat”, “november like u” e “callum”. Dalle fessure tra i teli neri che coprono le finestre entrano i primi raggi dell’alba. “Everyday I’m writing love songs/ If I get lost/ Would you find me?” si chiede Halima, tra qualche lacrima e qualche sorso di caffè per rimanere sveglia. Il pop sfrenato di “cocoa body” lascia spazio a un sound più indie, quasi soul, alla nostalgia, alle storie d’amore passate e ai cuori rotti.
“SWEET TOOTH” è urgente, ha qualcosa da dire subito, è un prendere o lasciare: se entri nel club al primo ascolto bene, altrimenti è troppo tardi. In un panorama pop saturo di hit da tiktok, Halima è una ventata di aria fresca. Ha tutte le carte in regola per diventare il club più in voga di New York City, basta sapersi vendere.










