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Recensione : Garrett Pierce – Dusk

Concept album per Garrett Pierce, folk singer della bay area, teso al racconto di una giornata intera, dall'alba al tramonto, ma è evidente che si va ben oltre ciò. Tinte multicolori animano un ottimo disco cantautorale che tiene alto il profilo della canzone. Conquisterà molte anime.

Garrett Pierce – Dusk

Garrett Pierce è cantante americano dotato di gusto naturale per la canzone, ogni brano che si ascolta è un piccolo gioiellino soft che si profonde completamente snocciolando storie interessanti con la sua voce ispirata e soave, leggera, ma assolutamente non nell’accezione di vanesia, di certo godibilmente centrata nel contesto dello sviluppo musicale; di fatti, nelle dieci canzoni che compongono “Dusk”, quarta prova uscita giusto qualche settimana fa, vive un’anima piuttosto seria e sensibile, attenta alle varie tematiche umane e personali; si riscontra una schietta ispirazione letteraria, sua grande passione è leggere autori classici americani (Steinbeck, Hemingway, Miller), che amplia la visione concettuale dei testi e l’attenzione per gli arrangiamenti rende il tutto decisamente bello, evanescente e pieno; soddisfa il mood infuso e pensato davvero bene per ogni pezzo che non è solo condito di zucchero ma ricopre i colori di un’anima profonda, talvolta decisamente sofferente con un’attitudine al contrasto.

A cominciare dalla prima “Boat song”, che si serve di accordi di piano e della confidenziale voce, Garrett ci canta una consolatoria canzone amichevole riguardo un futuro che appare incerto, invitando a guardare avanti a spron battuto al suo molto giovane interlocutore; le cose belle esistono e spesso ci sfuggono da sotto il naso.

“Distant thought” caldeggia il country avvalorato dall’aiuto del banjo, conferendo un tono di filastrocca ad una song bucolica che ha degli ottimi stacchi vocali, quasi in odor di Old California Sound; qui raccogliamo un sentito messaggio per i dolori che ci affliggono, forse la perdita di un caro, di un amore, che si dissolvono alla vista di questo bel mondo che abitiamo, non potendo spingerci oltre, poiché la bellezza ce lo impedirà.

“Don’t hold back” rincuora col suo incedere da ballata anni ’50 spruzzata di soul e ricalca il tema della precedente song; Mr. Garrett riesce a dispensare dolci deviazioni ad ogni brano, con la voce che pare passare da un genere pop all’altro, ma lievissimamente, così nell’orchestrazione, dal passato al presente, spicca il tocco raffinato, ricco di esperienza ed intelligenza compositiva.

“These wounds” è nostalgico, lieve, cullante pezzo in vena di ricordi adolescenziali rivissuti positivamente. Spunta un primevo passionale amore segnato da un particolare, i graffi ricevuti sulla schiena del nostro eroe per mano della donzella che fu, essi diventano il tramite acceso e vivo per rivivere realmente sulla propria pelle momenti indimenticabili di un’estate mitica. Poesia che ritorna presente.

“Enough”. Smash hit di alto livello che ci parla sopra echeggianti toni country, fungendo da efficace prolunga per il bellissimo cantato: si confeziona una perla soft pop dal lungo sguardo intimista, all’inizio del crepuscolo.

In “Greyhound song” il passo è spedito; immagini in movimento di vita vissuta, appunti di viaggio, incontri, istantanee sognanti sul mito di “on the road” scorrono scandite dal superbo tono celebrato, ripescandosi con affetto da uno smarritmento. Lode!

Con “Get me out of this place” si cambia registro, Garrett si fa serio e asciutto, sebbene l’aria di ballad è pressoché onnipresente, egregiamente sostenuta da un rinforzo di elettrica. L’esplosione è una supplica, il danno per Garrett è ormai fatto, egli implora liberazione dal vicolo cieco in cui è piombato (è cantata in prima persona, ma pare sia ispirata dal punto di vista di Charlie Manson…). “One love” di Marley è stato per me, il redattore, il ribattere improvviso a questa riflessiva, afflitta, amareggiata lirica.

“One last breath”: la vena aurifera di Garrett Pierce si fa elegiaca, quasi maestosa, non credo di andare troppo lontano affiancandolo al menestrello dell’anima, Neil Young, nel brano in questione. Garrett trova comunque il modo di affermare il proprio stile e lo fa con estrema classe e sentimento. Smash hit n. 2 e trait d’union con la precedente song, sembra che l’enfasi della dipartita sia colta con accettazione angelica; Garrett si innalza tra i dolori umani scoprendo la meraviglia della rinascita, comunica delicata naturalezza nel travaglio interiore, per niente scontato. Canzoni così tolgono il fiato.

“Not a religious man” è un discorso sulla fede molto personale, parole e musica si spalleggiano in un contrasto divino insito nell’uomo profondo. Un distillato poetico. Dolorosamente intimo.

“This town of mine” va a briglie sciolte, se così si può dire, il Pierce fa outing, adottando il suo aplomb free che gli è congeniale… riuscendo a toccare comunque le note del cuore. Goodby, wild minstrel.

P. S. Suo grande fan è Nick Cave, tanto che in passato gli ha proposto di aprire alcuni suoi concerti, come il primo indimenticabile per Garrett, in Grecia!

TRACKLIST
1. The Boat Song
2. Distant Thought
3. Don’t Hold Back
4. These Wounds
5. Enough
6. Greyhound Song
7. Get Me Out Of This Place
8. One Last Breath
9. Not A Religious Man
10. This Town Of Mine

LINE-UP
Garrett Pierce – Chitarra …

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