2025, LO SPIRITO CONTINUA
CHEVALIER / RESCUE CAT
Ci siamo forse troppo spesso lamentati che le nuove generazioni non avessero seguito i nostri esempi (talvolta molto poco virtuosi) in ambito musicale “impegnato”. L’abbiamo fatto mentendo a noi stessi innanzitutto, consapevoli di essere stati dei cattivi maestri nella stragrande maggioranza dei casi. Oggi che la situazione pare in netta controtendenza, e non certo per merito nostro, sentiamo doveroso fare ammenda, e dar lustro a chi, nonostante tutto, continua a suonare (ma soprattutto a pensare) un certo tipo di musica in Italia. Abbiamo scelto due realtà, Chevalier e Rescüe Cat, convinti di avere a che fare con dinamiche che hanno tutte le potenzialità per ritagliarsi spazi sempre più importanti anche oltre confine.
Un tempo, quando ancora pensavo al domani con qualche speranza, anche la mia città si caratterizzava per una presa di posizione politicamente attiva (Fall Out su tutti), oggi è morto tutto quanto, non c’è più spazio per nulla, quello che è seguito è andato in una direzione autoerotica volta al narcisismo individualista mascherato da un approccio fintamente punk che di punk non aveva nulla. Per fortuna ci sono realtà come Chevalier e Rescüe Cat che aiutano a pensare ad altro e allontanano la delusione.
Chevalier
I Chevalier sono i figli di questo nostro tempo. Nascono lo scorso anno, lungo la via Emilia, dove all’orizzonte si inizia a vedere il mare. Riescono immediatamente a collocarsi all’interno di quel contesto sociopolitico che noi più vecchi abbiamo continuato a seguire, anche se forse con meno ardore, e che si assesta su posizioni antifasciste, antirazziste, anticapitalistiche, e che guarda a tutte le dinamiche di inclusività per le realtà marginalizzate. La loro idea, che sposiamo in toto, è quella di provare a cercare una via di uscita dalla stagnazione in cui siamo confinati. Stagnazione che, a ben guardare, si sta trasformando ulteriormente, seguendo un individualismo che ci sta trascinando in un degrado apparentemente senza fine.
Il loro dolore e la loro urgenza sono gli stessi che sentiamo di dover condividere. Un’urgenza che li porta a urlare di rabbia, e che li porta a battersi contro la piega delirante che il nostro quotidiano ha preso da un punto di vista sociale e politico. Il loro è infatti un disco politico a tutti gli effetti, che si rivolge a tutti coloro che oggi sono inquadrabili come gli ultimi, ma che domani saranno sostituiti da altri “ultimi”, più necessari alla causa capitalistica.
“Un dolore a cui non so dare nome” è il loro debutto. Cinque tracce, pubblicate a metà anno in free download su Bandcamp. Cinque tracce che testimoniano, coi loro dieci intensissimi minuti di follia sonora, come ci sia ancora qualcuno che pensa di poter cambiare le cose. Sarà una vittoria della sconfitta, ma almeno ci avranno provato, forti del fatto di stare dalla parte “giusta” della storia, indipendentemente dal risultato finale.
L’EP ha riscosso un notevole interesse, che li ha portati a partecipare all’ultima edizione del Venezia Hardcore Festival, e che li colloca in quel novero di realtà da tenere d’occhio, sia da un punto di vista ideologico che da quello strettamente sonoro. Il consiglio è dunque quello di scaricare il loro disco, in attesa delle copie fisiche (fosse per me gliele stamperei domani stesso con Toten Schwan) che credo prima o poi decideranno di realizzare.
Quelli che di musica se ne intendono li collocano in quel filone chiamato “emoviolence”, noi che siamo legati a concetti molto meno complessi, che ci riportano agli anni in cui abbiamo iniziato a flirtare con la musica DIY concettualmente impegnata e militante, condividiamo, senza obiezione alcuna. Crediamo che la loro collocazione ideale sia sul palco, dove possono sfogare tutta la loro rabbia che quotidianamente accumulano. Rabbia che emerge solo in parte dalle piattaforme digitali oggi in uso a cui, inevitabilmente devono rivolgersi per diffondere il loro credo sonoro. È chiaro che online la loro è una proposta che perde impatto, e in parte anche significato politico, ma ad oggi non esiste una strategia alternativa altrettanto diffusa a cui rivolgersi.
In estrema sintesi possiamo pensare ai Chevalier come a una realtà che si caratterizza per un assalto aggressivamente lanciato al massimo delle potenzialità espressive, ma non per questo non ragionato, anzi, il loro è un grido di battaglia emotivamente coinvolgente, che ci trascina in un vortice di pensieri che si susseguono schizofrenicamente, e che pensavamo di aver collocato nel posto più nascosto e buio del nostro cuore.
Rescüe Cat
I Rescüe Cat ci costringono a spostarci leggermente più a nord, in Lombardia, dove il cielo incontra raramente il sole, dove quindi l’oppressione è ancor più soffocante. Il quartetto nasce un paio di anni fa, e inizia subito a bruciare le tappe. Il primo anno culmina con l’invito a prendere parte al Venezia Hardcore Festival, evento che li mette ulteriormente sotto i riflettori, e che li porta alla realizzazione del loro primo album “Flesh&Weapons” insieme alla Time to Kill Records.
Il disco – stando a quando affermano loro stessi – cerca di dare voce a chi voce non ha, e che, stando a quanto si vede ogni giorno – sentiamo di aggiungere – probabilmente non ne avrà mai. Il tutto condensato in quindici serratissimi minuti, suddivisi in otto episodi, attraverso cui i Rescüe Cat ci mostrano tutte le loro capacità compositive ed esecutive.
Ci piace sottolineare, restando in tema, come le otto tracce siano tutte rigorosamente inferiori ai due minuti di durata, segnale che i quattro hanno le idee chiarissime, e non vogliono perdersi in inutili orpelli. Non c’è nulla da abbellire, è tutto fin troppo chiaro così. Chi vuole capire ha tutto davanti agli occhi, non deve fare sforzo alcuno. I Rescüe Cat hanno chiaro dove vogliono arrivare e non hanno bisogno di fermate intermedie, il loro è un tentativo di andare a segno, immediatamente, in ogni brano, in ogni istante, mettendo a fuoco tutto e subito, senza girarci troppo intorno.
“Flesh&Weapons” è, a suo modo, un disco coraggioso, che non nasconde l’ambizione di voler guardare contemporaneamente in più direzioni, forte dell’ingenuità e dell’ardore di chi non ha nulla da perdere, e intende mostrarsi esattamente per ciò che sente di essere. Lo collochiamo in quella terra di mezzo in cui si incontra il vecchio hardcore punk con le nuove tendenze sonore, che a tratti sfiorano il metal moderno, soprattutto nelle parti meno iconoclaste, il tutto magistralmente tenuto in piedi da un approccio politicamente impegnato che che guarda alla discriminazione sociale (e a tutte le paure che ne conseguono) come al male assoluto. Non a caso il disco è stato pubblicato il quattordici Febbraio, scelta che depone per un’analisi ulteriormente approfondita sia sul mondo femminile che, soprattutto, sulla natura malata delle relazioni di coppia, autentiche prigioni emotive dei giorni nostri.
Quello dei Rescüe Cat è un sublime chaos organizzato, che si esalta (e ci esalta) in un crescendo sonoro che, purtroppo per noi, finisce troppo presto, costringendoci a rimettere il disco da capo, per godere al meglio di tutte le sfumature che un solo ascolto non ci permette di cogliere. Non pensate ad una foga incontrollata e unidirezionale. Qui c’è molto di cui godere, basta solo avere il tempo da dedicargli e lasciare da parte, per un attimo, la rincorsa al nulla con cui ci riempiamo le giornate. Ad avercene di dischi così carichi di rabbia come questo. Non fosse altro per il fatto che ci aiutano a sentirci meno soli.










