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Recensione : The Queen Is Dead Volume 81 – Charles Stepney \ Windisch Quartet \ Ali Farka Toure’ & Khruangbin

La grandissima classe ed inventiva del compositore, arrangiatore e produttore americano Charles Stepney apre questo nuovo volume. Si prosegue con il jazz molto libero del Windisch Quartet e chiudiamo con il tripudio musicale a tutto mondo del maliano Vieu Farka Toure' e dei texani Khruangbin.

The Queen Is Dead Volume 81 - Charles Stepney \ Windisch Quartet \ Ali Farka Toure' & Khruangbin

The Queen Is Dead Volume 81 – Charles Stepney \ Windisch Quartet \ Ali Farka Toure’ & Khruangbin

La grandissima classe ed inventiva del compositore, arrangiatore e produttore americano Charles Stepney apre questo nuovo volume. Si prosegue con il jazz molto libero del Windisch Quartet e chiudiamo con il tripudio musicale a tutto mondo del maliano Vieu Farka Toure’ e dei texani Khruangbin.

CHARLES STEPNEY

” Step on step “ dell’etichetta americana International Anthem è una raccolta di composizioni di questo immenso viaggiatore della musica, venuto a mancare troppo presto nel 1976. Stepney fu musicista, arrangiatore, produttore e tanto altro, e ogni sua opera era musica allo stato puro, un groove continuo che rimaneva immutato anche se cambiava genere, e lui di esplorazioni ne ha fatte tante.

Nato a Chicago, proprio come l’etichetta International Anthem, Stepney ha lavorato molto con gli Earth, Wind & Fire forgiandone il suono che li ha portati ad essere conosciuti in tutto il mondo, ha inoltre collaborato con Deniece Williams e Ramsey Lewis,fu produttore per la Chess Records negli anni sessanta, e fu una creatore di suoni per Rotary Connection, Minnie Riperton, Marlena Shaw, Muddy Waters, Howlin Wolf, Terry Callier, The Dells, The Emotions e tanti altri. Nonostante sia morto presto il suo marchio musicale è riconosciuto come essenziale e molti gruppi lo hanno preso ad esempio se non campionato come gli A Tribe Called Quest, Mf Doom, Madlib e i Fugees, ovvero il meglio hip hop. In questo doppio lp di registrazione casalinghe fatte nella sua cantina del Southside di Chicago fra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta c’è tutta la fantascienza sonora di questo produttore che seppe sentire il futuro, portando nelle sue opere un suono che era profondamente legato ai suoni della sua epoca, eppure possedeva al suo interno tutta una serie di istanze musicali che si svilupperanno solo in un futuro lontano, ma che lui aveva già visto e descritto con le sue musiche.

Il mood speciale emanato dai suoi sintetizzatori ai quali era specialmente legato, in particolar modo al Moog che fu uno vero e proprio strumento fantascientifico per l’epoca, il ritmo che ogni suo pezzo emana e che si può apprezzare in maniera particolare in questo doppio disco di registrazioni grezze e casalinghe dove Stepney può dare il  meglio in massima libertà. Qui ce n’è per tutti i gusti, dall’easy listening al jazz altro, il proto hip hop, il funky più cerebrale e tantissimo altro.

Ascoltando queste gemme recuperate dall’International Anthem si capisce in maniera puntuale il motivo per cui tanti produttori hip hop hanno sachheggiato questi pezzi facendone beats per i loro lavori, qui c’è il nucleo radioattivo dell’hip hop e di tantissime altre musiche black, c’è il blues, la libertà del jazz e la filosofia funk.

Un documentario musicale di una mente geniale, che vedeva nel futuro dalla sua cantina con i rimti ben piantati nell’epoca d’oro della black music.

 

WINDISCH QUARTET 

Julius Windisch è un giovane e talentuoso musicista jazz tedesco, specializzato nel piano, nel sintetizzatori e nella composizione. Julius ama l’improvvisazione jazz e ha deciso di imbarcar degli amici in un quartetto chiamandolo Windisch Quartet e questo ” Meander “ uscito per la berlinese Fun In The Church è la loro seconda opera.

Come nei suoi lavori solisti Julius ama andare oltre i generi per creare qualcosa di organicamente libero, anche con il quartetto accade qualcosa di simile. I suoi complici sono Solvi Kolbeinsson al sax alto, Thorbjorn Stefansson al basso e Max Santner alla batteria. Insieme creano e diffondono nell’aria un impro jazz molto tecnico e preciso, caldo e sensuale, vivo ed energico. I suoni sono prodotti molto bene e il disco è un insieme di improvvisazioni e letture libere che vanno oltre il concetto di impro jazz, dilagando in altri generi.

La particolarità di ” Meander “, oltre ad una grande ricchezza di suoni e di evoluzioni sonore, è la capacità di usare registri musicali diversi dai canonici, anzi la cifra stilistica è proprio andare oltre il canone. Inoltre le loro composizioni hanno un qualcosa di speranzoso e sono luminose anche quando passano nelle tenebre.  Juluis al piano, tastiere e sintetizzatori fa un lavoro immenso di cucitura e di creazione musicale, e gli altri componenti sono stati scelti benissimo poiché si integrano con lui alla perfezione e tutti diventano un quartetto nel senso più vero e pieno della parola.

La classe è tantissima, e il disco esce fuori da ogni categoria se non quella del bello, dopo il primo ascolto. Non si può rinchiudere in qualche recinto questa musica, questo fresco senso di amara dolcezza, di perfezione sfiorata e sempre agognata, in alcuni momenti musicali nei quali pare di essere tornati nell’abbacinante bellezza dell’utero materno come nella magnifica ” Dichte “.

Jazz certamente, ma una mutazione di un genere nato mutante e sfuggente, caldo e terribile, freddo e appassionato amante, terreno dove questi musicisti creano figure musicali come quella della bellissima copertina, che rappresenta al meglio le loro libere creazioni.

Un lavoro davvero ammaliante e diverso.

 

VIEUX FARKA TOURE’ & KHRUANGBIN

Partiamo dal maliano Vieux Farka Toure’, figlio di cotanto Ali Farka Toure’ forse il più grande chitarrista africano della storia al quale lo stesso figlio rende omaggio con questo disco di rifacimenti di alcune canzoni del padre in collaborazione con il trio texano Khruangbin che significa motore volante in thailandese e che sono nati per suonare thai funk anni sessanta e psichedelia in genere. Dal loro incontro nasce questo ” Ali “ uscito per Dead Oceans.

La chitarra di Ali Farka Toure’ è la stella polare di questo disco incentrato a sua volta sulla chitarra del padre, inventore di quello che in occidente viene chiamato desert blues ma che è molto, molto di più e lo si capisce qui. Farka Toure’ ha voluto che i Khruangbin arrivassero alle registrazioni senza nemmeno sapere cosa sarebbe successo e cosa avrebbero suonato per elevare al massimo la spontaneità del disco.

Ed infatti i pezzi vengono fuori come bellissime jams, ricche di suoni e suggestioni, come in una pista del deserto tracciata da Ali Farka Tourè e seguita dal figlio e dai suoi compari di avventura texani e i loro suoni ipnotici e psichedelici. “Ali ” è un azzeccatissimo omaggio al padre, attraverso la chitarra del figlio e la psichedelia dei Khruangbin che hanno un percorso musicale unico. Il risultato è un disco che fonde musica africana fortemente bleus con una psichedelia che la segue e veste abiti diversi e cangianti a seconda del momento musicale, e il tutto si compenetra in maniera fantastica.

Vieux Farka considera la musica come una magia, una forza immanente che scaturisce oltre noi e che ci usa come suoi medium insieme agli strumenti musicali, e ha capito che lo stesso per per il gruppo texano, che pare nato per accompagnarlo. Questo disco è ammaliante, ti porta lontano, possiede n ritmo antico e totale, un qualcosa che si trova nella chitarra dei Farka Toure’ come nella psichedelia funk della Thailandia anni sessanta, un flusso che non si ferma e che rimane solo impigliato alle sei corde della chitarra o a certi momenti quando la musica erutta libera, creata nuda e pura.

Questo lavoro richiede un ascolto duraturo, non è fatto per essere ascoltato distrattamente altrimenti vi perdereste qualcosa di questa oasi musicale alla quale abbeverarsi contro l’aridità di questo mondo. Ali Farka Toure’ ha unito culture che si pensavano diverse, suo figlio sta continuando a farlo con questo progetto che è cominciato anni fa ma che si è concretizzato solo ora, e che viene molto difficile metterlo per iscritto, perché il suo habitat naturale sono le nostre orecchie e l’aria là fuori.

 

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