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Recensione : Boschivo Bardo Dell’autodistruzione

Dalla notte buia dell'anima al suicidio rituale, dalla morte ad una rinascita luminosa sotto l'ala di una grande registrazione.

Boschivo Bardo dell'Autodistruzione

Boschivo Bardo Dell’autodistruzione

Entrando nel dettaglio delle canzoni, è lampante la propensione alla sperimentazione; l’elettronica gioca un bel ruolo di fascinazione nell’assetto lirico e serve l’assist al filone sensibile delle parole, offrendo uno spazio-alcova mirabolante che fa da filtro alle visioni intime di Boschivo.
La narrazione vocale esce sovente in forma di recitato, in dizione attenuata ed alterata, deformata talvolta come da un megafono, quando non decanta apertamente in maniera bucolica, cioè connaturata alla stretta matrice folk dell’artista.
La bella copertina, in arme di raccordo romantico, ritrae l’aura gotico-sepolcrale esposta in tinte ottimali per incarnare l’idea sonora e simbolico-grafica del lavoro: ad opera di Enfaisema…

La livida attrattiva della song acustica, in apertura al BARDO DELL’AUTODISTRUZIONE, Pozzoscuro, emerge da una polvere misterica ove il bisbiglio di inquietanti presenze, spiritelli dei boschi, accompagnano la profonda e tormentata song dentro un testo cantato che volge al messianico. Su essa pende la spada di Damocle deputata a dividere la dualità sacrificata alla sua lama, al fine di giungere al tutto, partendo dal niente (e avvicinandoci alla poetica mistica di San Juan De La Cruz). In rilievo i reverse sounds che smarriscono alquanto.

L’organo della seguente La Danza Perversa delle Falene, implementato da echi tenebrosi, nutre di netto sia la track che il passaggio esterrefatto, pronto a cambiare registro e atmosfera. L’aria diventa pesante, sconvolgente; vi s’introduce, in cavità di tronchi foresti vigili ed incantati, il demoniaco sofferente e curativo che sta operando nel mentre, dipingendo il buio spettrale della ricerca spirituale (e, ovviamente, sonica): la danza simbolica di 23 falene che inghiottono il reale empirico ed annunciano il sacrificio estasiante.
Ci si adagia addentro un simbolismo esoterico ove si perseguita e crolla ogni certezza, conferendo ascesi e variazioni di climax al brano.

L’arpeggio in forte riverbero de Il Rituale delle Mosche aumenta il crescere di sensazioni mutanti in corso, viaggiare attraverso il cambiamento di stato naturale ed immaginale. “Nello sconforto di un’anima in pena/ non c’è più posto per l’umanità/ prese un coltello e recise la vena/ per ritrovare in morte la serenità”.
Il brano è abbastanza filmico. Nella sua pellicola sono impressi fotogrammi per cui le successioni musicali verificatesi, il cambiamento di registro dal recitato al cantato e il passaggio all’acustico martoriato dall’elettrico, riportano ad incursioni psichedeliche insufflate e causate da feedback, effetti che contrastano il ‘salmodiare’ in purezza dell’anima folk, e tuttavia aleggia il presentimento di non totalmente rassicurante preghiera.

(Es)Senza di Te, più che un coacervo di peluria, è il trovare in esso l’origine del bozzolo tramite la scopinatura e la trattura, procedimenti tipici adoperati nel trattamento della seta, affinché venga dipanata e prodotta l’essenza che comincia a prendere immagine eidetica.
E già molti passi in avanti sono stati fatti nello sviluppo dell’albo, che vive di ambientazioni elettro-acustiche.
Sostando però in tema acustico, tiriamo soavemente i remi in barca, là dove si insinua un approccio pseudo-romantico relativo alla nuova condizione che si apre a noi, maestosa nella sua minuta semplicità: il bardo emana, cedendo la parola agli strumenti che procedono agitati, cupi, in procinto di sottile rivolta, un canto sfasato, prossimo al doppio (io vivo solo quando/son presente insieme a te/ e quando trovo dio/ tra funghi e onde, la sua immagine), inscenando una sorta di resa e d’abbandono, lo smacco di un’apparente sconfitta per confessione, celando al proprio interno un principio lì da venire, come se affilasse primitivo la punta ad una lancia.

Distorta Luna Sterile coinvolge cingendo il turbamento ed evoca la centralità del viaggio, il fondo toccato di un paesaggio improduttivo, calcareo, svuotato e fievolmente scarnificato all’osso, da cui affiora la liminale meraviglia.
Lo scostamento ha inizio dal piegamento fisico e morale, reggendosi sulle ginocchia, tremante il ritemprarsi con l’arrivo di una lontana eco vitale… La coscienza dell’armonia, in cui il tutto si muove nel mondo percettibile interiore, si fa specchio pure della esteriorità. E il punto di vista è radicalmente cambiato. Nella notte
la Venere d’ Avorio costituisce il baluardo/santuario ove “si scioglie come neve/ l’oceano digitale/ un inganno iperreale/ in cui la vita è funerale”. In odor di ascesi mistica il connubio parole/musica scivola nell’incanto della preziosa deteriorabile malìa impressa poi lungo il finale argentino.

C’è comunque da sottolineare il suggestivo e diffuso potere della rima, atto a profondere un’abilità compositiva condensata e ricca di significati da scoprire, soddisfacendo la musicalità attraverso la vocalità emessa dal cantato, e data dal recitativo perturbante, stimandone alto il valore d’insieme, e singolo, di ciascun verso.

Il settimo frammento, la parte vocale di Quando La Morte Verrà, perviene sussurrato, gravoso e penetrante; si ascoltano la bella chitarra, acustica e seria, ed il pattern sonico sperimentale alita musiche droniche. L’autodistruzione preconizzata dal bardo del titolo è alle porte, ed è obbligatorio che impieghi la sua falce devastante: “quando la morte verrà/ i resti del mio corpo vile/ saran vitto nel porcile/ d’una nuova umanità”, ossia la trattazione della rinascita, la trasmutazione. Liberato da tutto un fardello lontano e insensibile, allora si potrà vedere oltre il proprio naso. E il testo tutto vive di connivenze dark malinconico-romantiche che rimandano verso luoghi cosmici, rimanendo magica una intuizione di mistero ed ombra.

Il brano che da il titolo all’albo, Bardo dell’Autodistruzione, costituisce una summa sonora indispensabile (benché la mano commemorativa stoogesiana di We Will Fall deponga a suo favore) ed opportunamente dovuta alla bravura donata all’album da Emanuele Fais, in arte Boschivo.
Nel dilatarsi di necessarie trame – e di panorami fascinosi incorporei ivi precursori di suoni sciamanici – proprie di un lavoro che conserva in ambiente nativo sonico il favore delle individuali esigenze comunicative (lunari, silvane, d’umidità fredde, penetranti nelle ossa ed ottundenti momentaneamente i sensi, infine attivandone fondamentali altri guida), ecco le qualità fatali che infatuano l’uditore al punto d’assegnare al BARDO DELL’AUTODISTRUZIONE, con elocutio, la dicitura di Opera d’Arte.

Track List
1. Pozzoscuro 03:30
2. La danza perversa delle falene 04:56
3. Il rituale delle mosche 03:44
4. (Es)senza di te 02:02
5. Distorta luna sterile 02:34
6. Venere d’avorio 02:30
7. Quando la morte verrà 02:30
8. Bardo dell’autodistruzione 17:55

Bardo dell’Autodistruzione by Boschivo

Etichetta Label
Toten Schwan + Casetta + Aural Tempel

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