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Recensione : Black Capricorn – Cult Of Black Friars

Chi è alla ricerca di sonorità leccate e iperprodotte passi oltre, i Black Capricorn fanno musica per chi è come loro, e ciò che ne scaturisce è uno dei migliori album italiani dell’anno.

Black Capricorn – Cult Of Black Friars

Il terzo album in poco più di 3 anni consacra definitivamente i Black Capricorn come una delle band guida del doom nazionale.

Non era facile riuscire a migliorare il già ottimo “Born Under The Capricorn” e il tutto pareva reso ancor più difficile dal ritorno alla formazione a tre degli esordi, con il solo Kjxu ad occuparsi di voce e chitarra, coadiuvato dall’accompagnamento ritmico delle sorelle Piras.
In effetti, la rinuncia alla voce più abrasiva di Matteo Carta poteva comportare qualche scompenso per la band cagliaritana, ma il barbuto leader, pur avendo una tonalità di minore impatto, riesce a fornire una prestazione credibile dietro il microfono, compensata in ogni caso nel migliore dei modi dal suo operato alla chitarra, con la quale sforna riff su riff senza disdegnare anche riuscite digressioni soliste.
Rachela e Virginia fanno il loro consueto ottimo lavoro, ma non sono certo le doti tecniche del trio a rendere imperdibile questo lavoro, quanto la capacità di sfornare quasi un’ora di doom dalle ampie sfumature psichedeliche senza che queste divengano preponderanti, con il rischio di attenuare l’impatto più propriamente metallico del sound.
Semmai, un mood più lisergico si manifesta soprattutto nel finale, dapprima con lo stoner/grunge al rallentatore di Arcane Sorcerer e poi con la più soffusa traccia conclusiva, To the Shores of Distant Stars, cantata da Rachela.
Ma il cuore pulsante dell’album risiede particolarmente in tracce dalla magnifica resa quali la title-track, Hammer Of the Witches, e For The Abyss, e forse ancor più nella parte composta dalle tre tracce strumentali che arrivano una dopo l’altra, con le ritmate Riding the Devil’s Horses e Cat People a fare da ancelle al brano più coinvolgente, la splendida ed evocativa Anima Vagula Blandula, dall’incipit affidato al flauto, a richiamare i Cathederal di “Forest of Equlibrium” per staccarsene subito proseguendo con un arpeggio acustico ed un assolo di vibrante emotività.
Come detto, qui non si va alla ricerca di suoni cristallini e virtuosismi assortiti: il trio fa nel migliore dei modi ciò che meglio gli riesce, ovvero proporre un sound che affonda radici profonde nelle origini del genere senza mai scadere nel manierismo; non c’è un solo passaggio inutilmente interlocutorio in Cult of Black Friars, ogni brano possiede una propria definita struttura che si giova dell’essenzialità priva di qualsiasi orpello messa in campo dalla band.
Qualche purista troverà probabilmente difetti sparsi qua e là ma, francamente, chi se ne importa, questo è doom, non progmetal, e chi lo ascolta vuole godere di di sonorità plumbee, pastose, distorte e condividere passione e sudore con i musicisti.
Chi è alla ricerca di sonorità leccate e iperprodotte passi oltre, i Black Capricorn fanno musica per chi è come loro, e ciò che ne scaturisce è uno dei migliori album italiani dell’anno.

Tracklist:
1. Atomium
2. Cult of Black Friars
3. Hammer of the Witches
4. Riding the Devil’s Horses
5. Animula Vagula Blandula
6. Cat People
7. From the Abyss
8. Arcane Sorcerer
9. To the Shores of Distant Stars

Line-up:
Fabrizio “Kjxu” Monni – voce, chitarra
Virginia Piras – basso
Rachela Piras – batteria, voce (traccia 9)

Guests:
Luca Catapano – chitarra (traccia 3)
Mr. Toro – chitarra (traccia 9)
Alessandra Cornacchia – flauto (traccia 5)

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