Il ricettacolo di canzoni date alla luce da Bill Fay predilige un’atmosfera certamente pacata e confidenziale.
La propria interiorità illumina dal caldo spiraglio del focolare domestico emanando l’attitudine a raccontarsi e, come in una personale fotografica, vige chiaro il richiamo ai vari, comunque particolari, tenui panorami melodici (e dunque visivi) che messi conseguentemente a fuoco consentono di rendersi conto della grandezza dell’artista in questione.
Seguendo i passaggi assolutamente folk (quando non folksy), o vicini alla bella e riconosciuta forma della canzone poetica (Your Little Face) figlia della ponderata smussatura e levigatezza del materiale ritrovato nella soffitta dell’anima di Bill, e lì conservato lungo i tanti anni di attività, vi si affiancano nell’albo anche le nuove composizioni.
Monili egregiamente (ri)editati e cesellati sprigionano delicatezza, consolazione (In Human Hands) e germogliante purezza (How Long, How Long, la cui fattura dell’arrangiamento resta deliziosamente in odore di old sound), corrispondendo sensazione di sospensione e di compassionevole obiettività.
Altrove si chiarifica l’attestazione di verità semplici che appartengono alla arrendevole ciclicità umana (Countless Branches).
Lo sguardo principe dell’artista, ammiccando talvolta al country e talaltre al barocco (One Life, dal sentore mozartiano), instilla un peso denso e rilevante nello scartare l’involucro frusciante e nell’assaporare le canzoni tal quale fossero dolcetti, seppur non sempre tenerissimi da masticare, sebbene da tenere in bocca il tempo necessario dovuto ad intercettare le benefiche proprietà confezionate, prima di buttare giù la ormai ammorbidita rara prelibatezza.
Tali songs rimangono si funzionali alla melanconia sortita, facendo breccia sull’umore generale del disco e raffinando il sentimento al tremolio dell’emozione sorgiva: Salt of The Heart, magnifica gemma; I Will Remain Here, invece rimanda nel suo picco vocale alla You Are So Beautiful, cantata da Joe Cocker, con sfumature Johnny Cash.
Fill With Wonder Once Again (è anche il video del primo singolo accreditato all’animazionista e regista Emily Scaife http://emilyscaife.com/emily ) si avvicina ad uno strano mix tra Tom Rapp (Pearls Before Swine) e Cat Stevens, entrambi dei migliori anni, constatando che le evanescenze timbrico-melodiche fioriscono interessantissime.
Time’s Going Somewhere miscela invece aromi ancora Cash col Keith Carradine di I’m Easy, sorprendendo poi l’ascolto di soppiatto, in pieno stile Fay!
Inoltre vi è una aggiunta di ben 7 pezzi nella versione LP, sui 10 costituenti COUNTLESS BRANCHES, in dicitura di “bonus track”, che estendono il discorso sonoro rendendolo un tantino free ed eversivo, ove il gioco degli strumenti, specie delle chitarre, echeggia rockeggiante.
Tiny emerge carica di sprint ed avrebbe potuto essere supportata da una folgorante inclinazione hard rock blues; in essa si registrano illusioni psichedeliche condivise da una ariosa pop song. Don’t Let My Marigolds Die (Live in Studio) unisce le corde di Knopfler a J.J. Cale, affascinando profondamente per il taglio espresso. The Rooster fa un gran figurone in virtù gli imponenti accordi arpeggiati tenuti intrecciati al magico filo dell’organo in sordina, ideando una salsina al sapor psichedelico.
Il lavoro, terzo in catalogo per la Dead Oceans, si snoda naturale e magistrale, merito del marcato, devoto ed ispiratissimo pianoforte messo in primo piano da Fay – la cui voce imprime autentico il vissuto ritratto dell’autore – definente il colore primario della musica; l’inserimento istintivo di qualche arco, veramente pregevole, apporta fondamentali e vibranti sensazioni, al pari delle chitarre, acustiche od elettriche che siano, e di un rotondo, e men che meno complementare, ausilio del basso a compendio, dimodoché l’unità strumentale viri all’unisono per far ruotare meravigliosamente il disco a passo di elegia, dotandolo di carezzevole spiritualità umana che cola temperata in tono di ballata, caratterizzante la bucolica copertina, la qual mira al simbolico alternarsi delle età della vita, ritratte nella loro interezza, e splendendo in una cornice arcadica.
L’esigua produzione discografica di Bill Fay, che tocca il picco massimo dal 2000 sino ad oggi, non gli ha impedito di continuare a scrivere e comporre durante le decadi, lontano dai riflettori, uscendo progressivamente da quella nicchia che lo ha accostato ad autori quali Nick Drake, David Blue, e condizionato negativamente alle prime uscite viniliche, risalenti ai primi ’70, dalle scarse vendite.
Il merito di averlo riscoperto va alle ristampe di quei primi dischi, sul calare dei ’90, e alle cover riproposte da artisti quali David Tibet (Psychic TV, Current 93) e Jeff Tweedy (Uncle Tupelo, Wilco), ma soprattutto al produttore Joshua Henry, tirato su da bambino a latte e Bill Fay, che gli ha permesso di tornare sulle scene mondiali con tre album (‘Life Is People’ del 2012 e ‘Who Is The Sender?’ del 2015), compreso l’odierno Countless Branches in uscita il 17 gennaio 2020, integrando in essi i primevi Ray Russell (guitar) e Alan Rushton (drums), uniti al chitarrista Matt Deighton (Mother Earth, Paul Weller, Oasis).
E la storia continua…
Track List
1. In Human Hands
2. How Long, How Long
3. Your Little Face
4. Salt Of The Earth
5. I Will Remain Here
6. Filled With Wonder Once Again
7. Time’s Going Somewhere
8. Love Will Remain
9. Countless Branches
10. One Life
Deluxe LP Bonus tracklist:
11. Tiny
12. Don’t Let My Marigolds Die (Live In Studio)
13. The Rooster
14. Your Little Face (Acoustic Version)
15. Filled With Wonder Once Again (Band Version)
16. How Long, How Long (Band Version)
17. Love Will Remain (Band Version)
Etichetta Label: Dead Oceans
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