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Recensione : Babian – Heja Dom Son Vinner!

A volte mi vien da pensare che il rock, nella nostra bistrattata penisola, sia trattato alla stregua del peggiore dei mali. Cosa dovrebbe fare l'ignaro telespettatore o radioascoltatore del nostro servizio pubblico per poter fruire di un gruppo rock di italica provenienza? Sintonizzarsi sul festival di Sanremo ed attendere qualche nuova eclatante proposta o confidare in un raptus di follia di un dj notturno in vena di stranezze? E pensare che di gruppi rock interessanti ne partorirebbe anche l'Italia.

Babian – Heja Dom Son Vinner!

Proprio mentre stavo sviluppando questo mio estemporaneo pensiero la sempre lodevole Heptown Records fa recapitare alla nostra e-zine il terzo album di una band come i Babian (dei quali, sino a pochi giorni or sono, ignoravo l’esistenza) e nel presentarlo ci rende noto che il gruppo ha inanellato svariate presenze sia sulla tv sia sulla radio svedese.
Eccola qui la differenza fra la progredita Svezia e la derelitta Italia (magari le differenze si fermassero qui): da noi un combo di tale portata non sarebbe omaggiato da un ben che minimo passaggio neppure sulla più bistrattata delle radio locali, mentre per gli amici scandinavi merita ripetute presenze sulle reti nazionali!
E non le merita solo perché genericamente rock, le merita perché propone dell’ottima musica assolutamente al di fuori delle mode vigenti, ma non per questo (o forse proprio per questo) meno valida di altra.
Addentriamoci allora fiduciosi nelle affascinanti spire di questo Heja Dom Son Vinner! sviscerando quelli che, secondo il sottoscritto, sono i suoi momenti più alti.
Prima segnalazione per Tillbaks I Business che possiede il sacro fuoco soul-punk che rese grandi i connazionali International Noise Conspiracy e prima ancora immortali i superbi MC5, si prosegue con Allt Ar Ijug, un folk-rock con tanto di armonica che, anziché tediare, ammalia ricordando un’ottima band quali furono gli Steppes; Om Inte Hu Sa Nar vanta mirabili aperture alla XTC nella sua parte più rock per poi ripiegare in soffuse voragini psichedeliche alla Dukes Of Stratosphear (tanto per rimanere in casa della premiata ditta Moulding/Patridge) e Tid è sorretta da uno splendido sound freakbeat che mi ha rimembrato i da me amatissimi Embrooks.
Come spero di aver fatto trasparire da queste mie righe l’album in oggetto mette, come si suol dire, parecchia carne al fuoco, ma vi assicuro che lo fa con una classe ed una disinvoltura che è propria soltanto alle grandi band, ed inoltre cresce in maniera esponenziale ad ogni ascolto, caratteristica questa, assai raramente riscontrabile nella maggior parte delle uscite.
Un’ultima, forse superflua, annotazione: a chi pensa che il cantato in svedese possa essere d’ostacolo all’ascolto consiglio di cospargersi immediatamente il capo di cenere perché in questo caso non è
assolutamente così.
Grande album, grande band, ascolto caldamente consigliato!

Tracklist :
01. Ung man
02. Tillbaka i business
03. Peter Pan
04. Allt ar ljug
05. Ljuset
06. Om inte nu sa nar?
07. Ostersjons vida vatten
08. Tid –
09. Ta det till domstol
10. Vi lar som vi lever
11. Goodbye & adjo

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