Dal Brasile arrivano i Troops Of Doom, con Antichrist Reborn in uscita per Alma Mater Records di Fernando Ribeiro dei Moonspell.
Il gruppo è composto da musicisti fra i quali il chitarrista dei Sepultura dal 1984 al 1986 Jairo “ Tormentor “ Guedz, il bassista e cantante Alex Kafer che milita negli Enterro Explicit Hate ed ex Necromancer, il batterista Alexandere Oliveira dei Southern Blacklist e Raising Conviction e il chitarrista Marcelo Vasco dei A prima vista potrebbe essere un’operazione per recuperare fans dei Sepultura della prima era, quella di Bestial Devastation, la cui copertina fu concepita dallo stesso artista di questa dei Troops Of Doom, Sergio “AlJarrinha” Oliveira.
Quando poi si ascolta il disco si capisce invece di trovarsi davanti ad una formazione potente, con musicisti esperti, decisi e con una conoscenza approfondita del death metal dalle forti venature thrash. Il loro stile si rifa al death thrash brasiliano degli anni novanta, capace di grandi accelerate e con un suono molto diverso rispetto a quello americano e scandinavo. Antichrist Reborn ci riporta ad un metal primigenio, sudamericano nei modi e nelle dinamiche, un intreccio sonoro che non ha l’estremizzazione di altri death metal ma è una fantastica miscela di death, speed e thrash. La componente speed metal è sempre stata fondamentale in questo suono e qui riemerge nelle retrovie ma c’è ed è uno dei punti di interesse del disco.
Un lavoro inaspettato e di grande valore, che ci riporta indietro nei tempi, con una produzione molto precisa e puntuale e che come afferma il proprietario dell’etichetta Alma Mater Records Fernando Ribeiro, ci riporta a quel metal primitivo e infernale che arrivava dal Brasile negli anni ottanta e novanta. Il gruppo funziona molto e questo debutto sulla lunga distanza dopo due ep è molto ben riuscito.
Pia Isa
Entriamo in una dimensione molto differente con il primo album solista di Pia Isa intitolato Distorted Chants per Argonauta Records, al secolo Pia Isaksen, norvegese che milita nei Superlynx dove suona il basso.
Avvertendo l’esigenza di scrivere e fare musica differente rispetto al suo gruppo, Pia ha prodotto questo disco praticamente da solo, provando l’esperienza di comporre testi e musiche, facendosi aiutare per la batteria da Ole Teigen che milita con lei nei Superlynx, ed è presente alle chitarre in tre pezzi il chitarrista Gary Arce dei Yawning Man, Big Scenic Nowhere, Yawning Sons, Ten East e ZUN. Il lavoro è avvolgente, vive di una propria mistica, un’esperienzia che segue le rotazioni di giri di chitarra e di basso quasi dronici che si vanno a sposare con una batteria che ci porta alla musica per rabdomanzia.
Come dice il titolo stesso questi sono canti distorti, rituali fumosi che portano a grandi visioni, musica che recupera il valore sacro del suonare cercando qualcosa d’altro rispetto all’intrattenimento. Un pezzo come Every Tree ci riporta a qualcosa di vicino ai Sunn O))) , impreziosito dalla voce sciamanica di Pia. Ecco, Pia è proprio una sciamana, che diventando mezzo per arrivare ad altro, con la sua voce e la sua musica ci eleva.
Ci sono fortissime vibrazioni in questo disco che risvegliano qualcosa che abbiamo sepolto dentro di noi e che dovrebbe di nuovo vedere la luce per completarci.
Pia Isa scava dentro sé stessa e dentro di noi, alla ricerca dell’atavico e del non conforme alla vita moderna, essendo lei ancella di tempi antichi. Un disco di solide meraviglie e lenti stupori, di canti distorti sul bordo del mondo.
Alunah
Nuovo disco per i giganti inglesi Alunah, dal titolo Strange Machine, pubblicato dall’italiana Heavy Psych Sounds. Strange Machine è un disco che nasce durante la pandemia, che purtroppo pare non essere ancora finita, risente dell’umore dei musicisti che lo hanno composto, suonato e prodotto ma è soprattutto un’opera di celebrazione della vita e dei suoi piaceri. Il maestoso groove di questo lavoro porta dentro di sé la vita, i suoi rumori, umori e ogni giro degli strumenti è qualcosa di pulsante e di molto umano. Gli Alunah hanno sempre fatto musica psych, visionaria e di ampie vedute, ma qui si superano offrendoci una prova superlativa.
La voce di Siân Greenaway guida il gruppo nelle sue esplorazioni sonore, viaggi molto nitidi e chiari anche grazie all’ottima produzione di Chris Fielding. Siân e la sua voce sono il carburante del propulsore che fa andare nell’iperspazio la navicella dei cinque di Birmingham ( patria del gruppo più grande della storia), e il gruppo la segue benissimo, con un taglio sonoro assolutamente unico, molto fisico ma capace anche di diventare etereo al bisogno.
Riff granitici, basso pulsante e batteria che cuce il tutto, come se prendeste gli Orange Goblin e gli faceste fare un bagno nell’acido e poi li buttaste negli anni settanta. Insomma, qualcosa come l’heavy psych degli anni settanta, ma meglio se possibile.
Strange Machine è una scoperta continua, una ricerca sonora che si compie nel suo stesso ricercare, un suono molto tondo, lussurioso e per organi caldi. Come si diceva sopra, qui c’è la vita, il nostro bisogno di vivere e nutrire il nostro spirito e il nostro corpo, e qui c’è cibo per entrambi.
Temple Of Deimos
Chiudiamo questa puntata di The Queen Is Dead con un gruppo delle nostre parti, i Temple Of Deimos che tornano dopo otto anni con Heading To Saint Reaper per Argonauta Records.
Sono passati otto anni dal 2014 e dal loro penultimo disco Work To Be Done, nel frattempo sono successe molte cose che già saprete. Quel che saprete ascoltando il nuovo lavoro del gruppo genovese è che sono in gran forma, suonano sempre una miscela di stoner, desert rock e fuzz, molto più potente ed originale rispetto a prima, con un mix ottimo e potente da parte di Mattia Cominotto del Green Fog di Genova, che riesce a dare una profondità notevole al suono del gruppo, che su disco è davvero ruggente e graffiante.
Le pietre miliari alle quali ispirarsi sono sempre Queens Of The Stone Age e Kyuss su tutti ma i Temple Of Deimos hanno rielaborato il tutto molto bene e questo disco ne è la più lampante dimostrazione. Contundente, spigoloso, veloce ed abrasivo Heading To Saint Reaper è una corsa notturna in macchina a mille all’ora, bevendo dalla bottiglia e non pensando né a ieri e tanto meno a domani tallonati dalla morte proprio come nella bellissima copertina.
Un grande ritorno, fragoroso e che non rimarrà inascoltato. L’album perfetto per le serate che fanno male, e che il giorno dopo sono ancora peggio.
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