THE QUEEN IS DEAD VOLUME 21
DEAD QUIET
MOUNTAIN TAMER
Torna la rubrica della regina morta con due dischi belli gravidi e pieni di musica assai interessante.
Cominciamo il nostro viaggio dal Canada, e più precisamente da Vancouver, dove hanno la loro base i Dead Quiet, un gruppo che con il terzo disco intitolato Truth And Ruin sull’altrettanto canadese Artoffact Records arrivano alla definitiva maturità musicale, e anzi vanno ben oltre.
Inquadrare le coordinate sonore dei Dead Quiet non è compito semplice, come non è facile spiegare ciò che provocano nell’ascoltatore. Ogni canzone è un capitolo a sé, e dentro alle loro tracce ci sono immersioni in diversi mari, tanto è stratificato e complesso il loro lavorio sonoro. Una parte molto importante del loro suono è data dalla produzione psych hard degli anni sessanta e settanta, il tutto rielaborato con una grandissima personalità e con una musicalità unica. La voce di Keevin Keegan, ovviamente un omonimo e se non sapete di chi vi perdete qualcosa, è una spanna sopra tutte le altre, suona come fosse uno strumento, dando un valore aggiunto a questo gruppo.
Il resto del gruppo è una macchina perfettamente oliata, con chitarre pressoché perfette, un basso che nuota, un organo che parla alle nostre sinapsi e una batteria molto puntuale ed ottimamente prodotta. Truth And Ruin è un album che va assaporato lentamente e gustato in ogni suo anfratto, infatti i Dead Quiet cominciano il pezzo con un tema, ma poi è facilissimo che cambino le carte in tavola prima della metà e poi di nuovo tutto muti, rimanendo imponente ed immaginifico. Forse l’aggettivo migliore per descrivere questo disco è imponente, ma anche totale, poiché si muove in moltissime direzioni, ed in tutte riesce a cogliere il meglio.
Musica che si ispira agli anni sessanta e settanta, ma anche ad un certo suono degli anni novanta e primi duemila che pareva essersi definitivamente perso ed invece l’underground a volte rimastica meglio dell’originale. Lavoro a tratti commovente per quanta musica passionale contiene, per quanto pathos lascia nell’aria, e la sua grande naturalezza.
Rimaniamo sempre oltreoceano, ma più in basso rispetto al Canada, in California, patria dei Mountain Tamer.
Personalmente ritengo, e magari mi sbaglio ma tutta la musica è molto soggettiva, che il gruppo californiano sia una della migliori cose successe nella musica pesante e lisergica degli ultimi anni. Con questo Psychosis Ritual che uscirà a fine settembre per l’italiana Heavy Psych Sounds, i nostri tirano le somme di una carriera ormai decennale che è un continuo crescendo, un innuendo alla musica pesante e alla distorsione psichedelica. Un brano come la seconda traccia Warlock è qualcosa di molto vicino ad una possessione, come se i Jane’s Addiction fatti di acido avessero fatto un brutto incontro in un’altra dimensione, ossessivo ed oscuro.
Che i Mountain Tamer fossero un gruppo non comune lo si era capito fin dall’esordio omonimo sulla ligure Argonauta Records, un disco che era un invito ad andare oltre, sia per il gruppo che per l’ascoltatore, e sia loro che noi l’abbiamo colto. La scrittura del gruppo è complessa, nel senso che la musica non si sviluppa in una o due direzioni, ma si espande per l’etere come fosse fumo spesso, come un sogno che nasce e si sviluppa in più di una mente.
I Mountain Tamer attingono da molte fonti per creare qualcosa di nuovo ed unico, nel loro suono si possono sentire i sopracitati e mai troppo incensati Jane’s Addiction, ci sono i Doors più rettiliani, le jams degli anni settanta, il prog più acido, i Kyuss ancora più estremi e tanto altro.
Anche il secondo disco Godfortune // Dark Matters uscito per Nasoni Records nel 2018 era un gran bel totem ma maggiormente di passaggio verso il capolavoro attuale, Psychosis Ritual. Il disco inquadra perfettamente ciò che è la nostra società, un continuo rituale di sangue e membra, dove noi siamo il sacrifico, psicotici che finiamo in pasto a Moloch o Baal qual dir si voglia.
Questo disco è un moderno Necronomicon sonoro, dove la pazzia acida rimane l’unica ancora di una salvezza che ci porta ad una morte, che sarò rinascita per morire ancora, in un giro di batteria o in 50 milioni di anni.
Un disco che sfiora la perfezione, un buco nero musicale che ti inghiotte con il suo magnetismo e la sua bellezza, un qualcosa che diventerà un termine di confronto con chi verrà dopo in questi mondi.
DEAD QUIET :
MOUNTAIN TAMER :