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Scientists – Negativity

Scientists – Negativity

Anticipato da due roventi pietanze (i singoli “Outsider” e “The Science Of Suave“, antipasti perfetti per stuzzicare la fame elettrica di chi si imbatte nei baccanali di questi “Scienziati”) “Negativity“, il ritorno in pista degli australiani Scientists è un graditissimo banchetto che sazierà la felicità di tutti i palati amanti di certo rock ‘n’ roll grezzo, ipnotico e volutamente lontano dal circo mediatico del mainstream. Lo stesso rock ‘n’ roll che, dopo avere assorbito la lezione di Saints e Radio Birdman nell’anno di grazia 1977, venne poi ribattezzato “garage punk” nella prima metà degli anni Ottanta, e che vedeva proprio nell’Australia degli Scientists (ma anche degli Stems, dei Celibate Rifles, dei Lime Spiders, degli Hoodoo Gurus, dei Feedtime, dei Lubricated Goat and so on…) l’epicentro di questo magma sonoro incandescente, a pari merito con i soliti States (e proseliti importanti raccolti anche in Europa e Italia). La formula dei nostri Scienziati era poi arricchita da una miscela di swamp-rock e blues lascivo che rendeva la loro proposta ancora più deviata e intrigante. E gli Scientists si presentano al comeback con la stessa line up dei primi Eighties.

Dopo l’infuocato, Crampsiano singolo apripista “Outsider“, di cui abbiamo già detto, si passa ai 5 minuti di “Make it go away“, in cui il cantato ricorda da vicino l’esuberanza di Jon Spencer, e che poi si inerpica in vari stop-and-go sonori a metà strada tra Johnny Thunders e i Voidoids di R.Hell, fino a sfociare in un bizzarro finale noise, segnato dall’entrata in scena di un piano e un trombone (!). Segue “Naysayer“, una sorta di filastrocca psicotica, assolutamente sconsigliata da cantare ai vostri figli (per chi li ha) come ninna nanna, se non volete che di notte si trasformino in novelli Chucky (e consorte, per le femminucce).

In “Safe” riecheggia forte e chiara l’influenza del Detroit Sound, soprattutto si riconosce l’impronta degli Stooges di “Fun House”, tra un basso martellante, chitarre “Ashetoniane” e il frontman Kim Salmon che pare quasi scimmiottare Iggy Pop nel ritornello “Come on and make me feel…” con tanto di urletti goduriosi, proprio quegli urletti coi quali l’Iguana ha fatto scuola. “Magic Pants” è una palude malsana garage-blues dove immergersi per 3 minuti, con l’illusione di uscirne sani e salvi.

Una volta terminata la succitata e scatenata “The Science Of Suave“, parte quindi “Seventeen” e sembra di rivivere i fasti di un classico come “Set it on fire“: logicamente, non può esserci competizione, ma il pezzo si mantiene ugualmente su buoni livelli “incendiari”.

E’ poi il turno di “I wasn’t good at picking friends“, forse l’unico brano che non convince pienamente e che lascia nelle orecchie l’impressione di essere un riempitivo, o comunque una pezzo non messo ottimamente a fuoco, e che poteva essere forgiato meglio, ma tant’è. Le cose si risollevano subito col pezzo successivo, “Moth Eathen Velvet” , che effettivamente sembra davvero omaggiare i Velvet Underground, con un Kim Salmon che ondeggia tra il tributo a Lou Reed e una sezione strumentale che richiama il sound desertico di band del Paisley Underground come Dream Syndicate e Rain Parade.

In chiusura troviamo “Dissonance“, fuzzata sarabanda in cui il cerimoniere Salmon ci frigge i timpani, e “Outer Space Boogie“,  che ci saluta, come da titolo, con un boogie malato abbastanza da poter diventare il tema preferito di qualche serial killer.

Se l’intento di questo Lp era quello (dichiarato anche dalla band) di rappresentare la versione Ottantiana degli Scientists aggiornata ai tempi moderni, possiamo tranquillamente affermare che il quartetto di Perth sia riuscito nella sua missione. Bentornati a Swampland!

CREDITS:

Drums – Leanne Cowie
Electric Bass – Boris Sujdovic
Lead Guitar – Tony Thewlis
Vocals, Electric Guitar – Kim Salmon

Produced by The Scientists

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