Questo disco è una bomba rock ‘n’ roll da mandar giù tutta d’un fiato: io l’ho fatto, ascoltandolo a tutto volume in cuffia, e mi ha fatto saltare in aria e scapocciare dal primo all’ultimo secondo, lasciando il mio apparato uditivo ancora voglioso di schiacciare il tasto “replay” e ripetere il rito godurioso un’altra volta, e un’altra ancora.
Queste poche righe iniziali basterebbero già da sole per terminare la recensione di “
Hoof it“, terzo album degli
Schizophonics, duo garage rock di stanza a San Diego, formato dai coniugi
Pat Beers (voce, chitarra e basso) e
Lety Mora-Beers (batteria e backing vocals) due ragazzi che il rock ‘n’ roll lo hanno ascoltato a modo e, da quasi un decennio a questa parte, ne hanno rielaborato una propria, esplosiva versione (coadiuvati da una rotazione di bassisti per i concerti e i tour) che rende magnificamente in sala di incisione ma, ancor di più (e qui si riconosce la vera bravura dei musicisti, in generale) negli abrasivi concerti dal vivo, durante i quali
la matrice garage rock del loro sound deflagra in tutta la sua potenza ed esuberanza.
Dopo il debutto “
Land of the Living” nel 2017, e il secondo Lp, “
People in the Sky“, anche per gli
Schizophonics è arrivata la fatidica pubblicazione del terzo full length, quello che (si dice spesso) rappresenta il momento della verità, del tutto per tutto, “o la va o la spacca”, la prova cruciale che può consacrare o condannare definitivamente le sorti di una band.
Esame brillantemente superato a pieni voti dal combo americano, che con “
Hoof it” (uscito su
Pig Baby Records) continuano spediti nella loro corsa elettrica, smussandone leggermente gli angoli più spigolosi, il tutto in favore di una maggiore compattezza sonora.
Sin dall’opener “
Desert Girl” si viene investiti da un
groove eccitante e una scarica di riff adrenalinici che fanno presa in maniera contagiosa e si dipanano lungo tutti gli undici brani del lotto, in un folle ibrido che si richiama al Detroit Sound di
Stooges e
MC5 (e di questi ultimi, i nostri hanno realizzato, due anni fa, una
cover della loro “
Black to Comm“) e, di riflesso, pure
Radio Birdman e
Saints, ma anche a James Brown e Little Richard (che Pat e Lety hanno omaggiato in una tribute band chiamata
The Little Richards) ai
Sonics, a Jimi Hendrix. C’è la trascinante “
Won your love“, col ritornello dall’uncino perfetto e strutturata proprio per diventare un nuovo cavallo di battaglia ai concerti, anche se, onestamente,
ridursi a fare una analisi track by track non renderebbe giustizia all’energia che si sprigiona dalla mezz’ora tellurica che ci regala “
Hoof it” (e un plauso va anche a Dean Reis e
Steve Kaye che, in fase di missaggio, sono riusciti a catturare su disco la furia sonica che il duo/trio riversa, senza risparmiarsi, nelle performance dal vivo) per cui
bisognerebbe soltanto alzare i decibel audio e lasciarsi trasportare dal flusso di questo scatenato rock ‘n’ roll party. E una conclusione affidata a un titolo come “
Dance at the end of time” è incredibilmente adatta per questi tempi di merda, in cui il genere umano non è mai stato così vicino a causare la distruzione di questo pianeta, ma almeno rinnova quella massima di Pete Townshend sul rock che non elimina i nostri problemi, ma ci permette di ballarci sopra.
High-octane punk che riesce a ricreare l’atmosfera di sudata trasgressione e gusto per il proibito dei concerti non-stop dei Ramones al CBGB, ma rivisitata con James Brown al microfono al posto di
Joey Ramone; grezzo proto-punk e Memphis soul e feeling R&B, attitudine
in-your-face e Seventies fuzz rock miscelati in uno sguaiato cocktail da bere per andare fuori di cervello.
Per chi vi scrive, “
Hoof it” è sicuramente uno dei long playing più divertenti ascoltati in questo 2022, e probabilmente si ritaglierà un posto nella personale “top ten” di fine anno, un piccolissimo ma giusto omaggio da tributare
a uno dei R’N’R live acts più selvaggi degli States.