Nella descrizione della pagina Bandcamp dei Palmiyeler si legge, tra le altre cose, la parola “surf”, in riferimento alla proposta musicale del quartetto turco.
Mai termine fu usato tanto a sproposito come in questo caso, a meno che per “surf” non si intenda l’atto dell’aggrapparsi a un’asse di legno di un qualche relitto di nave appena colato a picco a causa di una tempesta, soli, in altissimo mare, senza nulla intorno se non un’infinita distesa liquida, scura, indistinta, persi nel disorientamento più profondo, in balia delle onde.
Ma il Mare Magnum nel quale ci troviamo immersi non è certamente acqua: la sua composizione chimica è senza dubbio più affine all’acido lisergico, o a qualche altra sostanza di hoffmaniana memoria.
Non cadete dunque nell’errore di ritenere che questa sia un’esperienza angosciante: questo navigare è dolce, soave, rilassante.
Il segreto sta nel non calcare il tratto.
I quattro di Istanbul hanno la mano leggera, si limitano ad abbozzare le silhouettes, senza darci un’immagine completa di ogni dettaglio. Una sorta di canovaccio sonoro, in cui è l’ascoltatore a dover unire i puntini, a ricavare una qualche forma definita, se vi riesce.
C’è un gran gusto per la melodia a pervadere i brani che compongono questo disco: tanto nelle linee vocali, la cui soavità è accentuata dal cantato in lingua turca, quanto nei fraseggi di chitarra, davvero ben strutturati e in certi casi molto efficaci dal punto di vista del risultato, soprattutto in brani quali Gel Yanima e Masum Bir Kedi, che rappresentano l’apice compositivo dei nostri in questo album.
C’è anche spazio per un paio di momenti leggermente più distorti ed elettrici (Aslinda Galiba e Köpler), che bilanciano una scaletta a conti fatti ben congegnata, che regala una mezz’ora abbondante di sicuro godimento.
Consigliatissimo soprattutto agli amanti della psichedelia di ieri e di oggi.
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