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Recensione : Mice Parade – What It Means To Be Left Handed

Mice Parade - What It Means To Be Left Handed: Che i Mice Parade siano un gruppo dalle ottime doti e che perciò valga la pena ascoltare almeno un loro disco, è cosa no...

Mice Parade – What It Means To Be Left Handed

Che i Mice Parade siano un gruppo dalle ottime doti e che perciò valga la pena ascoltare almeno un loro disco, è cosa nota. E’ meno noto, forse, il fatto che quest’ultima opera, What it means to be left-handed, è l’opera che più di tutte necessita di essere ascoltata. Questa volta Alan Pierce, infatti, non lasciando nulla al caso e invitando molti amici (Doug Scharin alla batteria, Soma, Caroline Lufkin e Meredith Godreau alla voce, solo per fare un esempio), è riuscito a creare un piccolo gioiellino.

E’ con delle percussioni tribali che si apre il disco, intrecciate a una chitarra pulita e limpida e alla calorosa voce dell’africana Soma. Questa è Kupanda, canzone in cui sonorità africane e il più occidentale indie rock si fondono in maniera perfetta, producendo un nuovo genere musicale a sé stante. In Between Times, subito dopo, esplode vigorosa, per poi cullarci con la delicata e sigurossiana voce di Caroline Lufkin unita ai solari echi dream pop e ai magnifici intrecci ritmici di Dough Scharin. Do Your Eyes See Sparks mantiene l’energia positiva e, con Meredith Godreau alla voce, si fanno decisamente interessanti e coinvolgenti gli intrecci vocali tra la cantante e Alan Pierce, mentre di sfondo le ritmiche continuano a fare un ottimo lavoro. A concludere questa prima parte di disco ci pensa Couches & Carpets che, appoggiandosi su chitarre flamenco, si caratterizza per il suo cuore solare e delicato, fino a esplodere in una coda che ricorda Mogwai e simili. Pond, è solo un lieve e breve intermezzo, a cui segue Recover che, partendo quieta e vagamente malinconica, cresce nel tempo grazie anche all’energia degli inserti di chitarra elettrica. Old Hat, più trasognata e spaziale, nasconde la voce sotto il peso degli strumenti musicali (ricordando i My Bloody Valentine) e, facendosi guidare dal pianoforte, esprime al massimo le sue potenzialità, fino a chiudersi improvvisamente. Si riparte con Mallo Cup, cover dei Lemonhead che, decisamente meno intricata e più lineare rispetto ai precedenti pezzi, alleggerisce l’ascolto e omaggia una grande band. Al secondo breve intermezzo del disco, Remember The Magic Carpet, segue Even, che nonostante la sua brevità (meno di due minuti) non delude le aspettative. A concludere ci pensano Tokio Late Night, Fortune Of Folly e Mary Anne. Se la prima risulta essere maggiormente introversa, intima e malinconica, con i suoi inserti di pianoforte sul tappeto di organo e batteria, la seconda esprime un’incredibile solarità, recuperando Caroline Lufkin alla voce e mischiando un indie-brasilian rock con code chitarristiche post rock. Infine, la terza, tributo a Tom Brosseau, semplice, lineare e un poco più oscura, chiude l’opera senza lasciare sbavature.

Alan Pierce riesce a compiere ciò che solo a pochi riesce: costruire un album praticamente perfetto. Le canzoni scorrono rapide fra di loro, come inseguendosi e rivaleggiando per accaparrarsi il posto di miglior canzone. Nulla è lasciato al caso e i dettagli sono sempre curati. Gli ospiti sono “il di più” che completa ulteriormente le già ottime canzoni, e, così, se è sconvolgente il lavoro alla batteria di Doug Scharin, non sono da meno neppure Soma, Caroline Lufkin e Meredith Godreau. Insomma, mentre la fila degli ospiti sarebbe ancora lunga, non ci resta che riavviare il disco per riascoltarlo nuovamente, tutto d’un fiato.

TRACKLIST:
01. Kupanda
02. In Between Times
03. Do Your Eyes See Sparks
04. Couches & Carpets
05. Pond
06. Recover
07. Old Hat
08. Mallo Cup
09. Remember The Magic Carpet
10. Even
11. Tokio Late Night
12. Fortune Of Folly
13. Mary Anne

Mice Parade - What it means to be left handed

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