La colonna sonora ideale per suicidarsi.Negli anni ’80 ” Unknown pleasures” dei Joy Division, nei ’90 ” Yanqui Uxo” dei Godspeed you black emperor! e almeno per adesso, in questo decennio, non ho dubbi, è Drinking Songs di Matt Elliott a.k.a. Third eye foundation.Abbiamo a che fare con un disco dilatato, con tracce che decollano dopo un lento e patito preambolo della durata di anche tre-quattro minuti. Tracce che poggiano le basi su evanescenti e sulfurei arpeggi di chitarra mandati in loop, taciti cenni di violoncello e dolenti segmenti di batteria, in maniera naturale ed evocativa, dove nasce come dal nulla la lacerante voce di Matt, a cavallo tra mondo onirico del reale e mondo dei morti, una soave espressione di dolore.” Drinking songs” è un disco fuori dagli schemi, a tratti cantautoriale, a tratti indie, a tratti folk e a tratti elettronico come nell’ ottava canzone The maid we messed (oltre 20 minuti di rielaborazione di tracce sonore comprese nell’ album precedente ” The mess we made”).E’ davvero difficile per me proporre un pezzo al di sopra degli altri, perchè questo è un disco ubriacante (come suggeriscono titolo e copertina), dalle vette di intensità emotiva altissime.Caldo, morboso, dilaniante, ombroso, malsano e denso, questo parto di Matt Elliot porta al tracollo psicofisico ma cosciente: ascoltarlo è un po’ come morire dissanguati per piccole ferite, goccia a goccia..