Chi non muore si rivede! …così ritornano i Korn, ormai praticamente dimezzati nella formazione originaria (niente più Brian “Head” Welch e David Silveria). I tre rimanenti, coadiuvati da Ray Luzier (batteria) tentano di rianimare un cadavere ormai morto da troppo tempo con Korn III – Remember who you are. Per l’occasione (forse sperando in un miracolo) tirano in ballo anche Ross Robinson, già con loro nella realizzazione dei primi due album (Korn, Life is peachy), ma, nonostante tutto, i risultati si confermano ben sotto la sufficienza.
Uber Time (intro abbastanza inutile) ci introduce a questo nono lavoro, lasciando rapidamente spazio all’abrasività di Oildale (leave me alone), dannatamente old school (sembra di tornare veramente a metà anni ’90), ma decisamente efficace. Pop a pill molto frammentata e dissonante non convince in pieno, come del resto la successiva Fear is a place to live, pesante come uno schiacciasassi, ma dannatamente “già sentita” e poco efficace. Move on ricorda molto le sonorità di Untouchables, anche se risulta più scarna e asciutta e Lead the parade ripropone di nuovo il solito suono viscerale, appoggiandolo però questa volta su ritmiche molto più fitte, creando un’interessante sensazione di delirio. Let the guilt go squadrata è rigorosa procede senza lasciar particolari impressioni (anzi, forse ricorda in alcuni casi la voce di Marilyn Manson). The past arraffa la sufficienza, svincolandosi maggiormente dall’orrido spirito del passato e cercando (in parte) di proiettare lo sguardo avanti: le sonorità si fanno leggermente più orecchiabili, raffinate, particolari. Never Around prosegue sulla scia del precedente pezzo, ricordando nuovamente Untochables nel suono, ma coinvolgento ed emozionando. Infine, Are you ready to live? nonostante l’iniziale violenza si lancia in aperture melodiche efficaci e coinvolgenti (dopo nove pezzi, finalmente uno che generi emozioni genuine), superando in qualità la precedente, ma facendosi superare dalla successiva e conclusiva Holdin all these lies, di certo molto orecchiabile, ma anche molto espressiva.
In conclusione, bisogna ammetterlo, di carne al fuoco i californiani ne mettono ben poca. Preferiscono riproporre il solito suono trito e ritrito piuttosto che osare una vera e propria evoluzione. Forse dovrebbero smetterla di fare i rabbiosi e i disperati, in quanto non risultano più credibili. Jonathan Davis dovrebbe veramente smetterla o, a breve, diventerà in tutto e per tutto la parodia di se stesso. A minare ulteriormente il valore del disco è l’estrema asciuttezza dei pezzi, troppo scheletrici e affidati quasi completamente in mano alla ritmica, che per quanto possa esser bravo Ray Luzier (molto bello il suo suono), alla lunga stancano e annoiano. Le uniche boccate di ossigeno e di speranza si hanno solo nel finale, quando fanno capolino un po’ di arrangiamenti e una maggior cura per i pezzi, ma il danno ormai è fatto. Forse ai fan più incalliti e inossidabili questo lavoro piacerà, per me è piuttosto deludente.
Tracklist:
01. Uber Time
02. Oildale (Leave Me Alone)
03. Pop A Pill
04. Fear Is A Place To Live
05. Move On
06. Lead The Parade
07. Let The Guilt Go
08. The Past
09. Never Around
10. Are You Ready To Live?
11. Holding All These Lies