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Recensione : Horse Lords, Comradely Objects (RVNG Intl., 2022)

Horse Lords, Comradely Objects (RVNG Intl., 2022): ma veniamo al disco vero e proprio. Contiene sette brani e si apre con un trittico davvero strepitoso: Zero Degree Machine, Mess Mend e May Brigade.

Horse Lords, Comradely Objects (RVNG Intl., 2022)

I termini, se usati senza una specifica definizione che ne chiarifichi la complessità semantica, non hanno senso alcuno. Sento (e leggo) descrivere gli Horse Lords come una band “minimalista”, oltre che “math” e “jazz sperimentale”. Parole molto belle, ma che possono significare tutto e nulla al tempo stesso. Quello che mi sembra chiaramente rinvenibile dall’ascolto di questo loro ultimo sforzo discografico è che il quartetto americano ha una precisa idea di come si debba comporre un brano: vi sono pochi elementi primari, semplici, irriducibili in ulteriori sotto elementi. Questi fattori, presi di per sé, sono privi di valore.

Ne acquisiscono uno solo se sapientemente mescolati assieme a formare un qualcosa di complesso. Non è certo un caso che il titolo faccia direttamente riferimento al movimento artistico del costruttivismo, il cui assunto fondamentale è che l’opera sia il frutto di, appunto, una “costruzione”, un mettere insieme qualcosa a partire da una certa quantità di elementi discreti. C’è un altro modo per chiamare una siffatta realtà: struttura.

Una struttura è, per sua stessa definizione, un che di composito, il cui senso complessivo e finale è inestricabilmente legato alle singole parti che lo compongono, ma in cui queste ultime risultano in qualche modo trasfigurate, perché perdono completamente la propria identità originaria, in quanto parte di un tutto, di una totalità nuova e assolutizzante.

Dal punto di vista logico, potremmo parlare anche di “olismo”: l’opera è una rete di significati e concetti tutti collegati tra loro, questi collegamenti si diramano, si intersecano, si corrispondono l’un l’altro a formare una sorta di ragnatela semantica. Un corpo complesso, stratificato, formato da una miriade di corpi che hanno, per contro, le caratteristiche dell’unità e dell’inscindibilità. Questi ultimi elementi, dal punto di vista degli Horse Lords, e di chiunque componga musica seguendo questo principio, sono gli elementi più semplici che possiamo trovare in musica: le note, il ritmo. Per ogni brano, essi prendono in considerazione poche, pochissime note e alcune figure ritmiche, sia pari che dispari.

Le note sono concepite come delle figure geometriche irregolari, dai lati differenti, quindi la stessa nota, se fatta ruotare in posizioni differenti, può incastrarsi con le altre in modi vieppiù originali, un po’ come in una sorta di puzzle sonoro.

Ora, questi pezzi, le note, appunto, sono di per sé incolore: è la scelta degli strumenti deputati a eseguirle a determinarne l’aspetto cromatico. La medesima combinazione di note – o pattern, se preferite – può dunque restituire colori differenti, se suonata per esempio da un sax o da una chitarra o da una tastiera. La partitura così concepita diviene una sorta di tavolozza, in cui i nostri possono sentirsi liberi di ripetere sempre gli stessi tre o quattro pattern di note ma facendoli suonare a vari strumenti, il che può avvenire sia all’unisono che a mo’ di contrappunto, a creare giochi e incastri sempre nuovi e inusitati.

Cuore pulsante di questo gioco policromatico di ripetizioni, permutazioni e combinazioni è la base ritmica, che spesso imposta una linea ossessiva, mostrando un certo gusto per gli andamenti di tipo dispari. A questa ricetta di base, gli Horse Lords aggiungono una spezia molto particolare, che conferisce un sapore decisamente poco “moderno” alla loro musica: l’uso del temperamento pitagorico come sistema di base per la suddivisione dell’ottava.

Scelta, quest’ultima, davvero azzardata ma che si rivela, almeno dal mio punto di vista, decisamente azzeccata: chiunque sia un minimo edotto in teoria musicale sa benissimo che la scala pitagorica ha degli intriseci e ineliminabili problemi che la rendono particolarmente ostica e tignosa se si vuole comporre musica “verticale”, su tutti direi la questione dell’imperfezione degli intervalli di terza maggiore e minore, che risultano all’orecchio decisamente poco appetibili.

Tuttavia, se si crea qualcosa basandosi principalmente sulla successione lineare, “orizzontale” delle note, allora i problemi tendono a sparire, e il risultato finale appare di fatto piuttosto soddisfacente, anzi direi che rappresenta in questo caso il vero valore aggiunto del disco.

Ma veniamo al disco vero e proprio. Contiene sette brani e si apre con un trittico davvero strepitoso: Zero Degree Machine, Mess Mend e May Brigade. Questi tre brani valgono da soli l’acquisto poiché sono di una bellezza, un tiro e una genialità senza pari e mostrano tutti i pregi del sistema di composizione testé descritto che, se sapientemente utilizzato, può condurre alla creazione di opere dal valore assoluto: la modellazione di pattern che si incastrano stagliandosi su ritmiche vorticose e incalzanti dà vita a qualcosa di estremamente coinvolgente, trascinante, che non lascia scampo all’ascoltatore. 

 

Questa sequenza può essere interpretata come la prima metà dell’opera. La quarta traccia, …Solidarity Avenue, è un breve componimento che funge da spartiacque tra la prima e la seconda parte: quest’ultima ha caratteristiche completamente opposte, e mostra un altro lato dell’arte strutturalista degli Horse Lords: Law of Movement, Rundling e Plain Hunt on Four sono infatti brani più eterei, dai contorni sfumati, in cui le note sembrano in qualche maniera diluirsi l’una nell’altra.

Questa è senza dubbio un’altra faccia della composizione per interpolazione di elementi discreti: se prima otto minuti volavano in pochi secondi, qui si ha esattamente la sensazione opposta: durante l’ascolto non abbiamo più punti di riferimento, persi nel dedalo dei pattern che si incastrano vicendevolmente, dei suoni che qui si fanno volutamente più ariosi e inconsistenti, della ripetizione che mostra il suo lato più labirintico. 

Davvero una grande prova, questo “Comradely Objects”, consigliato a tutti quelli che, come me, hanno sempre bisogno di nuovi stimoli e nuove realtà da esplorare.

Horse Lords, Comradely Objects

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