iye-logo-light-1-250x250
Webzine dal 1999
Cerca
Close this search box.

Recensione : FU MANCHU – THE RETURN OF TOMORROW

Ritorno con il botto per i californiani Fu Manchu, ormai conclamati decani della scena desert/stoner rock mondiale

FU MANCHU – THE RETURN OF TOMORROW

Ritorno con il botto per i californiani Fu Manchu, ormai conclamati decani della scena desert/stoner rock mondiale (solo per fare qualche nome: sotto questo moniker ci è passata gente come l’ex Kyuss Brant Bjork, nonché Ruben Romano e Eddie Glass che, dopo la loro dipartita dalla band, nel 1997, avrebbero poi formato i Nebula) che, a trent’anni esatti dal loro esordio discografico sulla lunga distanza, pubblicano il loro tredicesimo studio album, “The return of tomorrow“, uscito sulla loro label At the dojo records e arrivato a sei anni di distanza dalla precedente prova “Clone of the universe“.

Il quartetto statunitense (da sempre capitanato dal frontman/chitarrista Scott Hill e consolidatosi da oltre un ventennio con Bob Balch alla chitarra, Brad Davis al basso e dal batterista Scott Reeder, da non confondere col noto omonimo bassista ex Kyuss, Unida e altri gruppi) ha strutturato – come ammesso dallo stesso Hill – il disco come un doppio long playing diviso in due tronconi, concependolo secondo la cara vecchia, classica, esperienza old-school dell’ascolto in vinile:

Una prima parte – composta da sette brani – improntata su un heavy rock fuzzato, in cui si tornano a respirare atmosfere Nineties à la “Evil eye” (come nel caso della frizzante opener “Dehumanize“) o “Hell on wheels” (nella dinamitarda “(Time is) pulling you under“) implacabili head-banger da far vorticare il mosh ai concerti (“Loch Ness wrecking machine“) distillati di Led Zeppelin e Black Sabbath di mezzo secolo fa re-immaginandoli nati in California e cresciuti sugli skateboard a rosolarsi sotto il sole rovente, sfatti di allucinogeni e svezzati in sella a choppers e a bordo di muscle cars invece che a letture di Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft e J.R.R. Tolkien sotto i grigi cieli d’Albione (“Hands of the zodiac“, “Haze the hides“, “Roads of the lowly“, “Destroyin’ light“) e una seconda sezione – comprendente i restanti sei pezzi del full length – più elaborata e calibrata su un sound ancora duro e punitivo (“Lifetime waiting“, “Liquify” e la title track) ma lascia anche spazio a momenti più spacey/psichedelici (“Solar baptized“, “What I need” ) che culminano nella conclusiva, strumentale “High tide” che, ancora una volta, chiama in causa l’influenza del Sabba Nero (in particolare di un canovaccio come “Planet caravan“) per cuocere i vostri cervelli e farli fluttuare attraverso trip acidi desertici.

A Orange County il serbatoio resta pieno e il contachilometri non è ancora saturo, e i Fu Manchu, incuranti di quasi quattro decenni di esperienze sul groppone (e del riciclo continuo delle mode, anche nel R’N’R) continuano a sprintare restando fedeli a se stessi.

Get The Latest Updates

Subscribe To Our Weekly Newsletter

No spam, notifications only about new products, updates.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

KARATE – MAKE IT FIT

Il 2024 è l’anno dei comeback album. Dopo quello (annunciatissimo) dei Cure, appena uscito, quello (inaspettato e graditissimo) dei Jesus Lizard e l’altro (purtroppo, amarissimo)

THURSTON MOORE – FLOW CRITICAL LUCIDITY

Thurston Moore – Flow critical lucidity: il 20 settembre ha pubblicato il suo nuovo (e, complessivamente, nono) album, “Flow critical lucidity” attraverso la Daydream Library Series, house label della community Ecstatic Peace Library, fondata dallo stesso Moore insieme alla moglie Eva Prinz.