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Recensione : Cutthroat Brothers And Mike Watt – The King Is Dead

Mike Watt, si sa, è un personaggio che, musicalmente parlando, non ama stare troppo tempo con le mani in mano. Dagli inizi coi seminali Minuteme

Cutthroat Brothers And Mike Watt – The King Is Dead

Mike Watt, si sa, è un personaggio che, musicalmente parlando, non ama stare troppo tempo con le mani in mano. Dagli inizi coi seminali Minutemen in avanti, il prolifico (ormai) veterano bassista e cantante ha dato vita e/o ha partecipato a una miriade di band, collaborazioni e side-projects, talmente tanta roba che per elencarla e descriverla tutta occorrerebbe una monografia dedicata: ci limitiamo solo a citare i suoi fIREHOSE, i Dos insieme all’ex moglie Kira Roessler e l’aver preso parte alla reunion degli Stooges nel 2003.

Tra un gruppo (e un disco/tour) e l’altro, l’infaticabile musicista di San Pedro ha trovato anche il tempo per collaborare al nuovo album dei Cutthroat Brothers,  un duo di barbieri di Tacoma col vizio del rock ‘n’ roll, composto da Jason Cutthroat (chitarra e voce) e Donny Paycheck (già ex ZEKE) alla batteria, dedito a un velenoso garage/blues/punk intriso di swamp-rock, influenzato, a livello sonoro ed estetico, da gente poco raccomandabile (Cramps, Gun Club, Stooges, Damned e Misfits). L’occasione per unire le forze si è presentata quando i due Brothers sono stati intervistati nel programma radiofonico di Mike, “The Watt From Pedro Show“, e hanno chiesto al buon Watt la disponibilità a suonare il basso sul loro nuovo disco e, per loro sorpresa (e gioia) Watt ha accettato.

E così eccoci a “The King Is Dead“, terzo album del duo (ribattezzato come “gli Sweeney Todd del punk”) uscito il 12 giugno (in concomitanza col Record Store Day)  su Hound Gawd! Records, in cui Mike Watt ha dato il suo prezioso contributo, sia con le sue bordate di basso, sia come collante carismatico che tiene insieme i brani del disco, da autentico valore aggiunto. Dieci canzoni incentrate su argomenti come sesso, morte, droga e magia nera, “insanguinate” da chitarre affilate come lame e una batteria solida… come le poltrone che trovate dal barbiere, appunto. Dalle casse di questo “negozio” esce fuori un punk rock semplice ma potente (dall’opener “Killing Time“, passando per  il rockabilly di “Medicine” con Watt in grande spolvero, a “Taste For Evil“, “Get Haunted“, “Wrong“, “Candy Cane” e il resto delle tracce) che vi fa barba e capelli ancor prima di varcare la soglia del barber shop. Il conto finale da pagare lo stabilisce la title track, un garage/blues sordido e fangoso, colonna sonora perfetta per un omicidio.

Sarà il nome del combo, sarà il fatto che sono davvero barbieri, sarà che la loro provenienza in comune (il Nordovest dei primi vagiti della Sub Pop e del “grunge“, prima che venissero trasformati in una moda cooptata da MTV, riviste patinate di gossip e dalle major discografiche) ma quando ho letto dei Cutthroat Brothers e ascoltato la loro musica sporca e “tagliente” come un rasoio, l’ho subito associata, idealmente, a un brano dei primissimi Nirvana, quelli di “Bleach” (album prodotto dal leggendario Jack Endino che, altra coincidenza, ha prodotto anche questo Lp dei Cutthroat Brothers) e di un pezzo come “Floyd The Barber“, che in fondo si riferiva allo stesso retroterra culturale rozzo (l’ambiente di boscaioli retrogradi di Aberdeen narrato da Cobain e l’idea di rovesciamento del concetto di “provincia”, da luogo (comune) abitato da persone genuine a scenario malato di gente apparentemente perbenista che uccide i suoi figli e li fa a pezzi) e alla stessa perversione del contesto provinciale degenerato che caratterizza anche l’immaginario horror di Jason e Donny (dopo tutto, Tacoma, Seattle e l’intero stato di Washington sono le zone con maggiore concentrazione di serial killers nella storia degli Stati Uniti, come raccontato dagli stessi seattleite nel documentario del 1996 “Hype!“). In questo senso, a far da cornice a questo truce panorama è anche la copertina di “The King Is Dead”, disegnata dall’ormai veterano Raymond Pettibon, artista noto per i suoi artwork crudi e violenti (soprattutto le copertine dei primi lavori dei Black Flag).

Nel frattempo, a causa della pandemia, io mi sono lasciato ricrescere i capelli. Tacoma è lontana e questi due tizi, con un nome così sinistro (“I fratelli Tagliagole“, praticamente) non mi ispirano molta fiducia come barbieri… così, a pelle. Magari ripasso un’altra volta.

TRACKLIST

1. Killing Time
2. Medicine
3. The King Is Dead
4. Out Of Control
5. Taste For Evil
6. Get Haunted
7. Wrong
8. Shake, Move, Howl, Kill
9. Candy Cane
10. Black Candle

CREDITS

Backing Vocals – Texacala Jones (tracks: A5)
Drums, Percussion, Backing Vocals – Donny Paycheck
Lead Vocals, Guitar – Jason Cutthroat

Distributed By – Rough Trade Distribution GmbH
Manufactured By – Rough Trade Distribution GmbH
Phonographic Copyright (p) – Hound Gawd! Records
Copyright (c) – The Cutthroat Brothers
Recorded By – Jack Endino at Soundhouse Recording
Mixed By, Mastered By, Recorded By, Engineer – Jack Endino

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