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Recensione : The Queen Is Dead Volume 148 – Blood Monolith, Gurnslinger, Master Charger

Blood Monolith, Gurnslinger, Master Charger: death metal underground da amici americani uniti dalla passione per questo suono, un disco incredibile dall'isola di Jersey e si chiude con distorsioni inglesi da Nottingham.

Blood Monolith, Gurnslinger, Master Charger

Death metal underground da amici americani uniti dalla passione per questo suono, un disco incredibile dall’isola di Jersey e si chiude con distorsioni inglesi da Nottingham.

BLOOD MONOLITH

Cosa potrebbe succedere se metti in una saletta a suonare membri dei Nails, degli Ulthar, degli Undeath e dei Genocidal Pact ? Succede che diventi i Blood Monolith, vero e proprio nomen omen, un monolite di sangue che suona un death metal vecchia scuola che abbatterebbe i palazzi. Fondati nel 2023 dal chitarrista e cantate Shelby Lermo dopo la sua uscita dai Vastum allo scopo di fare qualcosa di più pesante, marcio e veloce rispetto a ciò che già facevano prima, e non era facile, ma ci sono riusciti.

Basati nell’area di Washington DC e North Virginia, il gruppo si forma in maniera definitiva con l’ingresso del chitarrista Tommy Wall che negli Undeath suona il basso, del bassista Nolan dei Genocide Pact e degli Shitstorm, per chiudere con il batterista  Aidan Tydings-Lynch dei Brain Tourniquet e dei Deliriant Nerve. Con questa formazione assassina i nostri si dedicano a comporre e a produrre un death pesante, con radici antiche ma anche molto moderno, che se ne frega delle etichette ma vuole picchiare sodo, con metodo e cattiveria, anche con tecnica e tanta esperienza.

“The calling of fire” su Profund Lore Records è un gran bel disco di death metal affilato, un massacro fatto con metodo ed una gran bella produzione che fa rendere la meglio il suono devastante del gruppo Nel suono e nell’attitudine del gruppo possiamo ritrovare tantissimo dello spirito DIY e del passato grindcore dei membri, e ciò è un notevole valore aggiunto, e anche la conferma che tanti ottimi interpreti del grind e del powerviolence hanno poi un amore forissimo per un certo death metal devastante, veloce e senza fronzoli. i Blood Monolith colpiscono nel segno con un disco che non ha una pausa, un cedimento o un pezzo che funzioni peggio degli altri, è tutto legato benissimo, anche con inserti tratti da film ed altro che stanno benissimo nel contesto. Il gruppo fa anche sfoggio di una certa tecnica che non è mai fine a far vedere quanto siano bravi, ma è uno slancio maggiore per massacrare di più. Disco notevole ed imperdibile per chi ama il death metal fatto con passione e capacità. Notevole la copertina disegnata dal cantante dei Rudimentary Peni.

Un tonico per affrontare l’attuale Kali Yuga e buttarsi nella mischia con il machete in mano, in mezzo a tanto sangue.

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GURNSLINGER

“Who killed the world?” dei Gurnslinger dall’isola di Jersey su Octopus Rising è un disco di difficile collocazione, fra rock apocalittico, grunge, stoner, hard rock ed altro, un meraviglioso oggetto musicale non identificato che delizia, coccola, blandisce e stordisce.

Questo debutto è stato registrato in una fattoria abbandonata sull’isola guardando in loop “Mad Max:the Fury Road”, e c’è molto di distopia ed apocalisse nel loro particolarissimo suono, che non ha in pratica eguali. L’originalità partendo da elementi conosciuti è la caratteristica che balza subito agli occhi, e pur inserendosi in una tradizione sonora britannica gli Gurnslinger firmano cinque pezzi assolutamente peculiari e molto interessanti.

Nelle cinque tracce del loro debutto si possono trovare moltissime cose, esplosioni, distorsioni, momenti di calma e un continuo surfare sull’orlo del baratro, con violenta ed elegante grazia. In un panorama musicale molto appiattito su poche posizioni e sempre molto derivativo “Who killed the world?” è un salvagente lanciato dal luogo che meno ti aspetti, ma ripensandoci l’isola di Jersey sarebbe un ottimo luogo per vivere un’apocalisse.

Il disco è molto vivo, all’interno delle canzoni ci sono moltissimi elementi differenti che contribuiscono a sviluppi sempre e molto efficaci, lasciando sempre l’ascoltatore stupito e soddisfatto. Il suono del disco è frutto di talento, creatività e voglia di andare fuori dagli schemi, ricercando sempre qualcosa di molto particolare e mai scontato.

Il gruppo dell’isola di Jersey si inserisce nel solco della tradizione britannica, quel suono lascivo e debitore di tanta tradizione fatta di distorsioni e riverberi, ma reinterpreta il tutto in maniera molto personale e assai piacevole. Cinque tracce che lasciano un gran gusto e tante sensazioni frutto di suoni mai comuni.

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MASTER CHARGER

Quarto disco in studio per gli inglesi Master Charger, il titolo è “Posthumous Resurrection”, ed esce per Octopus Rising, la sussidiaria di Argonauta Records.

Il gruppo proveniente da Nottingham auto definisce il proprio suono come “satanic blues rumble”, e questa definizione è davvero assai azzeccata. “Posthumous Resurrection” è un disco dissoluto, con un suono basso e macinante, un blues psichedelico pesante, che parte dai Black Sabbath passando per gli Orange Goblin e arrivando ai Paradise Lost e ai Monolord, giusto per citare qualche coordinata sonora.

La ricchezza del suono dei Master Charger è grande e catapulta l’ascoltatore in varie dimensioni sonore, spaziando per tanti colori dello spettro della musica pesante. Come si poteva già ascoltare ed apprezzare nei dischi precedenti il gruppo inglese è in continua evoluzione, e pur possedendo una conformazione musicale bene precisa vuole e sa spaziare in territori più ampi. L’impronta sonora di partenza è molto distorta e ribassata, anche se sono un trio sviluppano molta potenza, come nel brano “Mass produced, mass destroyed”, che è a suo modo un piccolo manifesto sonoro di cosa possa essere questo gruppo, per esempio qui abbiamo chitarre alla St. Vitus e un cantato senza speranza, con un ritmo incalzante che diventa sempre più claustrofobico, pur mantenendo riffs di chitarra giganteschi.

E proprio lo strumento a sei corde ricopre un ruolo fondamentale, tessendo trame e sotto trame all’interno delle canzoni, integrandosi molto bene con gli altri elementi sonori. Inoltre il suono dei Master Charger possiede quel tocco di underground britannico che rende sempre oscuro ed affascinante il tutto.

Un disco dedicato soprattutto a chi cerca qualcosa di molto rumoroso e di mai ovvio, un manifesto di come si possa rielaborare una certa tradizione musicale rispettandola e portandola avanti, con molta energia e molta passione.

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