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Recensione : Artaius – Torn Banners

Nel complesso "Torn Banners" mostra diversi motivi di interesse e passaggi avvincenti che, seppure di fronte a brani meno riusciti, sono indicativi di una band che possiede gli spunti e le potenzialità per fare molto meglio.

Gli emiliani Artaius si riaffacciano sulla scena folk metal con il loro secondo album, Torn Banners, a due anni da “The Fifth Season”

Il genere, che si è imposto all’attenzione negli ultimi anni anche nel nostro paese, viene interpretato in maniera appropriata dalla band, anche se per raggiungere i livelli dei gruppi di punta della scena nazionale (Elvaeknig, Folkstone, Furor Gallico) sarà necessario in futuro limare alcuni aspetti.
Se è apprezzabile, infatti, la voce femminile ad opera di Sara Cucci (comunque più a suo agio sui toni alti), di contro il growl di Francesco Leone appare leggermente monocorde, benchè il suo apporto all’interno dei brani non sfiguri affatto nel suo ricordare per impostazione Mike dei Dark Lunacy (a tratti, peraltro, il sound degli Artaius parrebbe ricondurre alla band parmense, con la componente folk a sostituire quella sinfonica).
E ancora, se gli strumenti che indirizzano le composizioni verso il folk (violino e flauto) vengono suonati in maniera brillante dagli ospiti Lucio Stefani, Dario Caradente e Tim Charles, la chitarra appare eccessivamente ingabbiata nel lavoro ritmico, lasciando che, alla fine, a condurre il sound siano le tastiere di Giovanni Grandi.
Proprio questo strumento dona agli Artaius una connotazione particolare in virtù di un approccio decisamente prog, che forse qualcuno potrà trovare furi luogo in tale contesto ma che, personalmente, considero invece uno dei punti di forza di Torn Banners, tanto che uno sviluppo del sound in tal senso potrebbe dare buoni frutti.
Del resto l’album mostra più aspetti positivi che negativi ma questi ultimi ne condizionano la fruizione, quando emergono sotto forma di una frammentarietà derivante dal contrasto di stili che talvolta faticano ad amalgamarsi .
Prendiamo una traccia come Daphne, nella quale uno dei motivi tradizionali inseriti con buon gusto in diverse tracce dagli Artaius, sorretto da un lavoro tastieristico dal sapore settantiano, si contrappone alle sfuriate di matrice death: ciò che ne scaturisce appare emblematico delle caratteristiche di un sound al quale manca appunto un pizzico di omogeneità per fare bingo, e lo stesso si può dire in fondo anche per la bella Eternal Circle e per The Hidden Path.
Nel complesso, quindi, l’album mostra diversi motivi di interesse e passaggi avvincenti che, seppure di fronte a brani meno riusciti (Leviathan e Dualità), sono indicativi di una band che possiede gli spunti e le potenzialità per fare molto meglio.
Ribadisco il mio opinabilissimo parere: una ridistribuzione dei carichi, privilegiando la componente folk-prog a discapito di quella estrema, potrebbe rivelarsi la chiave di volta per far compiere agli Artaius l’auspicabile salto di qualità.

Tracklist:
1. Seven Months
2. Daphne
3. Leviathan
4. Eternal Circle
5. The Hidden Path
6. Pictures of Life
7. Pearls of Suffering
8. Dualità
9. By Gods Stolen
10. By Humans Claimed
11. Torn Banners

Line-up:
Sara Cucci – Vocals
Francesco Leone – Vocals
Massimo Connelli – Guitar
Enrico Bertoni – Bass
Giovanni Grandi – Keyboards
Alessandro Agati – Drums

Guests:
Tim Charles (Ne Obliviscaris) – Violin on “Leviathan”
Lucio Stefani (Mé Pék / Barba) – Violin on other songs
Dario Caradente (Kalèvala) – Flute and whistle

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