Ultimo appuntamento dell’anno con ::acufeni:: chiudiamo l’anno in compagnia di Bolt Gun, Fire Down Below, Raison d’Etre, S A R R A M e Sherpa.
Bolt Gun ”TheTower” (Avantgarde Music)
Terzo album per gli australiani Bolt Gun. “The Tower” mostra una band determinata nel proseguire nella strada intrapresa sinora, che li ha portati a espandere, e allargare, i propri riferimenti espressivi e la sperimentazione sonora. L’album, da un punto di vista concettuale, guarda a tematiche che si rifanno all’isolamento e all’estinzione, con particolare attenzione alle opere di Brian Evenson, Franz Kafka e Shirley Jackson.
Esplosivo e deflagrante “The Tower” riesce a coniugare elementi ambient, noise e industriali, contestualizzandoli all’interno di un paradigma metal estremo. Brutale ma al tempo stesso ricercato, l’album si muove in modo quasi schizofrenico, con repentini cambi di umore e di intensità. Con un approccio “libero” riesce infatti a tenere sempre sul pezzo l’ascoltatore, rapito da tale e tanta aggressività e intransigenza. Un disco molto poco convenzionale che lascerà interdetti, ma che alla lunga saprà mostrare il proprio indiscusso valore espressivo.
Imprevedibile e alienante, “The Tower” è una riflessione su un mondo che appare arrivato alla conclusione dei propri giorni, e ne rappresenta l’ideale colonna sonora, andando oltre i limiti per come siamo abituati a concepirli da un punto di vista strettamente e didatticamente sonoro. Apocalittico in tutti i sensi.
Fire Down Below ”Low Desert Surf Club” (Ripple Music)
I Fire Down Below arrivano dalle fiandre, e debuttano nel 2016 con un album autoprodotto (Viper Vixen Goddess Saint) che riscuote un discreto successo. Se li accaparra la Ripple Music che, oltre a ristampare il disco, fa uscire anche il seguito (Hymn of the Cosmic Man), e in questo 2023 pubblica anche il loro terzo album, “Low Desert Surf Club”.
Il loro è uno stoner ricco di variazioni sul tema e di inserimenti “alieni” che riescono a dare ampio respiro al sound di base. Forti di un groove coinvolgente e sempre in primissimo piano, i Fire Down Below, stanno cercando di creare uno stile quanto più personale possibile che possa permettere loro di emergere nell’oceano stoner nel quale hanno scelto di collocarsi.
Sono proprio quegli elementi più psichedelici che fanno di “Low Desert Surf Club” un album granitico e omogeneo, ma sempre gradevole, che sancisce indiscutibilmente il loro percorso di crescita musicale. Un album affascinante e freschissimo, che esula dai canoni più rigidi del genere, e si distacca dalla noia di un genere, per me, davvero troppo monotono.
Non manca quel tocco ”surf” che rallegra l’album, particolareggiandolo e rendendolo riconoscibilissimo in quel mare di noia rappresentato dallo stoner, perché a suo modo anche il deserto è un oceano infinito.
Raison d’être “Prospectus I” ( Sublime Edition 4 CD Boxset) Cyclic Law
“Prospectus I” è un album monumentale, di un’importanza storica indiscutibile. Potremmo chiudere qui il discorso e passare oltre.
Ascoltarlo oggi, a distanza di tre decadi, fa ancora lo stesso effetto di un tempo. Inquietante, nella sua ”semplicità sonora” figlia di una tecnologia non ancora invadente e onnipresente come al giorno d’oggi, l’album ci viene presentato in una nuova veste, con un’edizione che sublima il trentennale dalla prima pubblicazione, con un’edizione boxset a 4 CD che include la versione redux, la versione originale rimasterizzata, e varie tracce alternative o aggiuntive.
Mistico e malinconico “Prospectus I” è stato, ed è, un debutto che ha mostrato al mondo i Raison d’Etre, tra gli assoluti maestri della desolazione sonora, a metà strada tra rumorismo, ambient e lugubre litania, caratterizzato da campionamenti vocali gotici, con richiami religiosi nemmeno troppo velati, per un autentico viaggio iniziatico, con cui esaltare l’oscurità.
Pubblicato originariamente nel 1993 per l’ormai (purtroppo) defunta Cold Meat Industry, l’album, oltre a diventare un punto di riferimento per tutte le uscite targate CMI, divenne fonte di ispirazione per tutte le band che seguirono il loro filone espressivo.
S A R R A M “Pàthei Màthos” (Subsound Records)
Dopo due ottimi album come “Silenzio” e “Albero” un altro grande disco del polistrumentista sardo Valerio Marras. “Pàthei Màthos” ci mostra il lato più intimista dell’autore, grazie ad un album che si caratterizza per un marcata dose di personalità e di spessore, che ci porta a scoprire il suo lato più profondo.
Concettualmente ispirato all’Eschilo di Agamennone l’album fa riferimento all’arte di imparare attraverso la sofferenza, arte che guarda ad un approccio estremamente personale. Per rendere tangibile il tutto, Marras si è lasciato andare alla sperimentazione, sublimata da una serie di collaborazioni, tra cui spicca per gusto, classe e qualità quella con la conterranea Dalila Kayros, timbro vocale unico nel panorama italiano.
Da un punto di vista sonoro “Pàthei Màthos” è improntato all’oscurità e a tutte le sue stratificazioni sonore, e risulta, sin dai primissimi ascolti, come un disco talmente “vero” che arriva quasi a commuovere con il suo carico straziante e intenso. Un album che fa perdere i sensi, in cui, traccia dopo traccia, puoi aspettarti veramente di tutto. Un viaggio fatto di un unico brano suddiviso in capitoli, senza apparenti punti deboli, che si muove suadente, cambiando forma per tornare comunque alla sua origine drammatica.
Un album che ci guida nell’oscurità ma lo fa in modo rassicurante, come se fosse la nostra indole più primaria cercare il buio insondabile in cui galleggiare nel vuoto
Sherpa “Land of corals” (Subsound Records)
”Land of Corals” è il terzo album per gli Sherpa. Segue gli ottimi ”Tanzlinde” del 2016 e ”Tigris & Euphrates” del 2018. Già in occasione di quest ultimo il sound del duo si era spostato verso un qualcosa di molto più ostico rispetto al debutto.
Orientandosi in favore di un approccio ossianico che mostrava senza censure il loro lato più malinconico. ”Land of Corals” è l’evoluzione naturale per il duo composto da Matteo Dossena e Franz Cardone, alle prese con la consolidazione di un percorso che continua a nutrirsi di contrasti sonori.
Il loro modo di pensare la musica ha permesso la realizzazione di un album che suona omogeneo al netto di una eterogeneità di fondo che riesce a mantenere alta l’attenzione anche grazie all’indecifrabilità eletta a virtù imprescindibile. Concettualmente ispirato al ciclo della vita, e in particolare al rapporto con la morte e il “fine vita”, l’album guarda al sacrificio umano inteso come fortificazione dell’anima, col corpo che muore permettendo all’anima di rinascere più forte di prima.
Il loro minimalismo krautrock che affiora tra le tracce sottolinea l’essenza di un album malinconico e ipnotico, ma assolutamente orecchiabile nonostante suoni ostici e scomodi.
La conferma di una strada intrapresa con attenzione e intelligenza.
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