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Recensione : Witchwood – Litanies From The Woods

Un album che rasenta il capolavoro, per certi versi unico per suoni ed atmosfere, e che andrebbe ascoltato da chiunque si professi amante dei generi dai quali la band trae linfa per la propria proposta.

Witchwood – Litanies From The Woods

L’etichetta nostrana Jolly Roger non è solo sinonimo di metal classico, ma nel suo DNA è ben consolidato l’amore per i suoni settantiani, che qualcuno definirà vintage, ma è fuor di dubbio che quel decennio è stato l’anno zero specialmente per l’hard rock ed il metal.

L’avvento delle opere progressive, così come la nascita del rock più robusto colmo di riferimenti al blues ed alla psichedelia, presa in prestito dagli anni sessanta, ha stravolto la storia della musica moderna, consegnandoci un nuovo modo di approcciarsi al rock, ed è ancora oggi punto di riferimento per chi non si accontenta di suoni commercializzati nei supermercati del music business.
Litanies From The Woods è una lunga jam di musica senza tempo, dove confluiscono una marea di generi e sensazioni; atmosfere che ricordano opere già edite, ma non per questo meno affascinanti, create ed interpretate da un gruppo di musicisti eccezionali raccolti sotto il monicker Witchwood.
Nati dopo lo scioglimento dei Buttered Bacon Biscuits, band con all’attivo un album dal titolo “From the Solitary Woods” ed apparizioni live con band storiche del calibro di Uriah Heep e Jethro Tull, i faentini consegnano ai posteri questi ottanta minuti di spettacolare rock d’altri tempi, contraddistinto da una vena dark propria di certe band seventies (Black Widow), grandiose parti di progressive rock dove confluiscono elementi folk, attitudine hard rock e divagazioni psichedeliche in un arcobaleno di suoni in cui l’hammond regna sovrano, con il flauto suo inseparabile scudiero, creando così un’opera di vintage rock emozionale.
Lunghissimo ma con un songwriting in stato di grazia, questo bellissimo lavoro riesce nella non facile impresa di risultare vario, fluido, anche se il senso di jam è forte in tutti i brani, passando dall’hard rock desertico e di frontiera di Rainbow Highway al prog drogato di psichedelia di The Golden King.
Il folk drammatico di Shade Of Grey inquieta e avvolge l’ascoltatore in un abbraccio che lo porta a sognare di tribù intorno ad un falò, impegnate in danze sabbatiche sensuali e mistiche, così come i quindici minuti di prog d’autore della superba Farewell To The Ocean Boulevard ci consegnano una jam solare, spettacolarmente strumentale nella quale ogni ferro del mestiere si ricava il suo momento magico.
Si torna a rockare come ai bordi delle lunghe route statunitensi in Song Of Freedom: l’armonica questa volta ha la meglio, accompagnata dai riff zeppeliniani della sei corde, e l’hard rock ha il suo momento di vera gloria enfatizzato da un’attitudine southern blues che ne fanno uno dei migliori brani sentiti ultimamente nel genere.
L’album si conclude con Handful Of Stars, i suoni si fanno cupi, una certa atmosfera floydiana esce prepotentemente dalle note di questo monumentale brano: siamo tornati nel prog rock e la band si congeda da par suo fagocitando, oltre ai Pink Floyd, Jethro Tull e King Crimson e risputando una creatura bellissima e pericolosissima.
Un album che rasenta il capolavoro, per certi versi unico per suoni ed atmosfere, e che andrebbe ascoltato da chiunque si professi amante dei generi dai quali la band trae linfa per la propria proposta.

Track List:
1.PRELUDE
2.LIAR
3.A PLACE FOR THE SUN
4.RAINBOW HIGHWAY
5.THE GOLDEN KING
6.SHADE OF GREY
7.THE WORLD BEHIND YOUR EYES
8.FAREWELL TO THE OCEAN BOULEVARD
9.SONG OF FREEDOM
10.HANDFUL OF STARS

Line-up:
Riccardo “Ricky” Dal Pane – Vocals, electric and acoustic guitar, mandolin & percussion
Andrea “Andy” Palli – Drums & percussion
Stefano “Steve” Olivi – Hammond, piano, synth & moog
Luca “Celo” Celotti – Bass
Samuele “Sam” Tesori – Flute&harmonica
Davide Mosca – Lead guitar

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