Debutto in odore di revival anni ’90 per i cuneesi Treehorn e per il loro Hearth, decisamente figlio di stoner e sludge d’annata
I Treehorn (Davide Olivero, Gianandrea Cravero, Davide Maccagno) vengono da quel cuneese che negli ultimi anni ha sfornato svariate band votate al suono pesante e graffiante. Questo Hearth (da intendersi come un incrocio tra heart e earth), debutto ufficiale sulla lunga distanza, si caratterizza per l’incrocio fra stoner e sludge e per la capacità di riportare alla mente un suono lontano di almeno 20 anni.
Stockholm, in apertura, emerge dalle tenebre per farsi spazio su sonorità profondamente legate agli anni ’90, tra chitarre ruvide, strizzate d’occhio al doom e ritmiche magmatiche, mentre Taurus, Not Bull, secondo pezzo presentato, scalcia e si dimena, fra sonorità nervose e passione per i deserti americani. Wakin’life, più lenta e riflessiva, si fa pastosa, torrida e sudata, lasciando poi spazio a Senescence (come impattare contro un carrarmato inamovibile), tesa nell’inizio e calda e dilatata nella seconda parte. Aluminium, strumentale, schiaccia l’ascoltatore sotto il suo peso, trascinandoci nelle sue roventi allucinazioni da peyote e consegnandoci, poi, a Freeway To The Sun, alla sua pioggia di pietre e al suo ammiccare ai Tool. Infine, Apostolic, pezzo liquido e sinuoso, lascia presto posto a Black Mirror, ancora una volta orientata su sonorità roventi.
I Treehorn mettono su disco otto pezzi gravidi di suono e ben suonati, in cui tutto sarebbe in regola, se non fosse per due cose: quel suonare così simile a band di ben altra caratura e il non riuscire a presentare canzoni che possano chiaramente definirsi decisive. Insomma, un disco gradevole, un buon debutto, ma consigliato principalmente agli amanti del genere.
TRACKLIST:
01. Stockholm
02. Taurus, Not Bull
03. Wakin’ Life
04. Senescence
05. Aluminium
06. Freeway To The Sun
07. Apostolic
08. Black Mirror