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Recensione : Thee American Revolution – Buddha Electrostorm

Thee American Revolution - Buddha Electrostorm: album d'esordio dei The(E) American Revolution dopo lunga incubazione, infatti il gruppo si è formato nel 2004 per mano ...

Thee American Revolution – Buddha Electrostorm

album d’esordio dei The(E) American Revolution dopo lunga incubazione, infatti il gruppo si è formato nel 2004 per mano di Robert Peter Schneider (già fondatore del collettivo “Elephant 6” e leader degli “Apples in Stereo”) e del cognato Craig Morris (Ideal Free Distribution).

Buddha Electrostorm è costruito su una solida base di chitarra fuzz e su una spericolata quanto troglodita sezione ritmica il tutto bagnato con note di mellotron, tra armonie luminose ed esplosioni di rumore puro. Pare che vi sia un dietro le quinte, un mentore, un misterioso musicista inglese degli anni ’60 ad ispirare la creatività del gruppo: W.Shears.

Non capisco bene a chi o cosa si riferisce “She’s coming down”, il primo pezzo, ma ho idea di un viaggio nella nebbia seduto su un lurido divano in velluto color tabacco, un viaggio che dura poco, tra bolle di colore e bagliori chimici che stordiscono: “so right…”. I riff di chiatarra di “Electric flame” sembrano registrati in presa diretta da sotto il palco di Woodstock, il brano riporta riferimenti spacciatamente Beatlesiani ma con una forza propositiva e schiettezza molto marcate; il sottomarino giallo è passato a Benton, Kentucky, con una carica elettrostatica di milioni di volt.

Un’eruzione solare da ascoltare con qualsiasi tempo ed in qualsiasi contesto. Il titolo di “Haircut” mi ha fatto venire in mente quel romanticone di Beck Hansen e non a caso qui si attinge a piene mani alla stessa fonte della follia musicale dell’artista losangelino, ma con sonorità amplificate ed una studiata sporcizia nelle note che danno un carattere deciso, il Wha-Wha vale il prezzo del biglietto. In “Power house” tocca al nonnetto Luigino Reed (visto peraltro domenica sera con i Metallica a “Che tempo che fa”) che aleggia pesantemente sia sulla lirica che sulla chitarra, con giri prepotenti accompagnata da una batteria pestata a sangue ed irrisa da brevi assoli (assholes), il ritornello quasi ipnotico irretise chi ascolta, avvolto in una nebbiolina color velvet. “Shoeshine blues” (sciusciain’ blùz) ha un attacco un po’ grun(d)ge; la voce arrotola la parola “lustrascarpe” cadenzata da una chitarra a tratti dissonante come a sottolineare, urlare il malessere diffuso.

Uno dei miei limiti è quello di sentire lampi dei miei dischi preferiti in ogni cosa di ascoltabile che mi passa per il canale uditivo: “Little girl”, con la stridula voce di Robert Schneider che più di tanto non può dare (non essendo un Mike Patton) distorta a dovere e sempre pacata, mi rimanda a Psychocandy, dove atmosfere di rumore fanno da sfondo, appunto, ad una voce soft-pop in un contrasto molto efficace in termini di resa sonora (Garage, officina industriale). “Sleepwalker” esprime una notevole cifra qualitativa, la voce contribuisce all’insieme modellando una montagna di sound granitico e rendendo mature sonorità genuine e possenti non più acerbe, non male per un “sonnambulo”. Sulla falsariga di Sleepwalker, nella sontuosa “In your dreams” si raggiunge e definisce il carattere dell’intero album: “prima vi facciamo sentire a chi ci ispiriamo, poi come noi rielaboriamo il tutto”; è un ottimo pezzo, concentrifugato di tutte le influenze e persino sprezzante di impietosi eventuali paragoni. Se cervello pancia e cuore sono in sintonia, noi suoniamo così.

Cerco di dissuadermi in ogni maniera, ma “Buddha electrostorm” disco Rock è LSD liquida che scorre ovunque, sugli “scogli neri” del rock’n’roll, tracciando onde di colore. E’ un disco di singoli, come Love dei Cult e London Calling dei Clash (senza voler essere blasfemo) sono stati. Rielaborazioni alla Jon Spencer ma con in più il coraggio delle proprie azioni, con la sfrontatezza (giustificata) di sbattere in faccia all’ascoltatore l’influenza Indie (nel senso di reinterpretazione indipendente dal mainstream) dei mostri sacri, rendendo una suggestione che inizia dall’hard rock seventies e scivola su una superstrada sonora fino a carteggiarsi sul lo-fi noise anni 90. Peccato non si abbiano notizie di un seguito.

Link: http://gardengaterecords.com/

TRACKLIST:
1 She’s Coming Down
2 Grit Magazine
3 Electric Flame
4 Haircut
5 Power House
6 Blow My Mind
7 Shoeshine Blues
8 Little Girl
9 Saturn Daze
10 Sleepwalker
11 In Your Dreams / Japanese Clone

Thee American Revolution-Buddha Electrostorm

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