Partiamo dall’elettronica più dolce e progressiva del duo ungherese Palo Canto, passiamo dalle suggestioni distopiche e doomgaze degli Still Wave per arrivare al poste metal hard rock dei Desert Twelve.
PALO CANTO
Ritorno del duo ungherese di elettronica fusione e folktronica Palo Canto, formato da Peter Kadves e Bertalan Toth, con il canto di Antonia Vai.
Il duo esplora da tempo le profondità nascoste dell’elettronica fatta in maniera dolce, frequenze che fanno stare bene mettendo in comunicazione le nostre cellule con il globo terracqueo. Per questo singolo dal titolo “ Seasons of the soul” i Palo Canto hanno anche girato il loro primo video sull’isola croata di Pag, e l’atmosfera dell’isola si lega benissimo alla canzone e al loro stile in generale.
“Seasons of the soul” possiede un ritmo azzeccato e suoni curati benissimo e speciali, creando quasi come una zona speciale che valorizza il nostro spirito infondendo forza e speranza. L’elettronica dei Palo Alto è un omaggio al nostro essere umani e un’oasi di bellezza che ci ricorda che ci può essere una musica positiva che aiuta, allevia e si sovrappone fra noi e le brutture che ci circondano.
Visto anche il successo del gruppo questo tipo di pensiero e di musica elettronica sta avendo anche un certo successo, che si sposa con quello della fokltronica che è già un qualcosa di più strutturato e di vicino a quello che fanno i Palo Canto, anche se il gruppo ungherese va oltre.
Questo singolo è una bellissima introduzione al disco prossimo venturo, che aspettiamo e che speriamo esca presto, senza mettere fretta alla creatività.
STILL WAVE
Still Wave è una band fondata a Roma da Luca Fois (chitarra) ed Eliana Marino (tastiere) per dare forma alla loro personale visione musicale, una miscela oscura di shoegaze, post-rock, black/doom metal.
L’ingresso di Daniele Carlo (batteria), Manuel Palombi (basso) e Valerio Granieri (già voce dei Rome in Monochrome) la band ha finalizzato le tracce per l’album di debutto “A broken heart make an inner constellation” registrato, mixato e prodotto a Roma da Fabio Fraschini (Novembre, Arctic Plateau) e Luca Fois al PlayRec Studio e masterizzato da Øystein G. Brun (Borknagar) al Crosound Studios. Dopo aver firmato con la These Hands Melt, Eliana Marino ha lasciato la band, sostituita da Tomas Aurizzi (già membro degli Aborym). Esordio fulminante in bilico fra doom, shoegaze, doomgaze, black metal e bellissime melodie.
La cifra stilistica di “A broken heart make an inner constellation” che esce per la These Hands Melt è la consapevolezza della decadenza e della sconfitta umana che risuona eterna fin dai tempi della ubris greca. Siamo soli, siamo spersi, ma tenendo dentro al nostro cuore la capacità di raccontare e di suonare, l’uomo può può sorridere mentre precipita sempre più giù nel nero precipizio.
Questo disco è una di quelle opere che posseggono una sensibilità musicale molto al di sopra della media, un sentire che si eleva e che ricade dentro di noi dall’alto e non dal basso.
Gli Still Wave usano diversi registri musicali in maniera molto adeguata alla narrazione, e si viaggia per tanti stili musicali senza mai fermarsi, è la somma che conta. Il suono del gruppo è dolcissimo, un abbandono doomgaze che a volte si trasforma in cavalcata black metal, con delle tastiere sempre molto particolari e bellissime, forse la peculiarità più importante fra le tante di questo gruppo.
Il loro debutto è come una storia antica raccontata attraverso la musica altra, partendo da sentimenti scolpiti dentro di noi dai The Cure e dal gotico insito nell’animo di chi si è accorto che vi sono altre realtà, dentro e fuori di noi. Ascoltare questo disco è come godere della compagnia di parte di noi stessi, della consapevolezza e della dolcezza della discesa nel buio, perché c’è buio e e buio, e questo è assai dolce.
Un disco d’esordio molto buono, che riassume e che porta avanti la tradizione italiana del doom diverso e di tanto altro.
DESERT TWELVE
Da Piacenza arriva questo gruppo di post metal e hard rock molto diverso dalla media, con una grande idea di melodia, di forza e di eleganza al di fuori del comune.
“The Last Dark Wood” in uscita per Orzorock Music esplora tematiche esoteriche e spirituali, il titolo fa riferimento all’ultimo bosco sacro, oasi di verità e virtù, che venne fatto tra il 1520 e il 1560 da un nobile italiano per la moglie morta prematuramente.
Nel disco prende vita a partire dall’osservazione della natura e delle sua dinamiche una spirale di post metal che parte da un discorso stilistico molto vicino ai Tool per espandersi al grunge, all’hard rock, allo stoner e con melodie preponderanti e molto affascinanti.
I Desert Twelve non sono mai un gruppo ovvio e lo dimostrano canzone dopo canzone, mostrandoci anfratti esoterici e nascosti, con soluzioni sonore sempre avanzate e mai scontate.
Ascoltare “The Last Dark Wood”è un’esperienza sonora molto particolare, dove si incontrano situazione e sentimenti che sembrano opposti, ma che se vengono amalgamati nella giusta maniera offrono una chiave di lettura nuova per la realtà ed oltre.
I Desert Twelve sono uno di qui pochi gruppi che con la loro musica riescono sia a divertire, a far pensare e non ultimo inducono benessere, cosa affatto banale al giorno d’oggi. a voce di Vittoria Ipri svetta su tutto e mirando dall’alto il percorso ci conduce di concerto con il gruppo verso suoni nuovi e di grande significato.
Un disco diverso per un gruppo che non è scontato, un altro buon lavoro uscito dalla scena underground di Piacenza e dintorni che la Orzorock Music sta esplorando da tempo.
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