Vivo in una cittadina grigia, squallida, asservita al culto del commercio e della produzione;
le sue architetture, la sua urbanistica, ne sono un’espressione più che palese: edifici abitativi che sembrano caserme, supermercati da apocalisse zombie, zone industriali senza nessun tratto umano; tutto è ordinato in una compostezza dove la prima, ma anche l’ultima, impressione che si riceve è che siano posti nati solo ed esclusivamente ad uso lavorativo e in totale dipendenza da questo; anche le case sembrano posti destinati solo al riposo e al rifocillamento tra un turno di sgobbo e l’altro.
Mai niente di più
Quand’è notte esco, soprattutto adesso che scrivo e sono in ferie dal lavoro, e cammino tra un edificio e l’altro, una caserma e un centro commerciale, un nosocomio e un cimitero, e scopro, con divertito orrore, che, nel buio interrotto ogni tanto dalla luce cinica e fredda di qualche occasionale lampione, ogni angolo, ogni anfratto, ogni vicolo, ogni strada, ogni ovunque di questa fogna per lavoratori indefessi, assomiglia in modo inquietante alla scena di un omicidio.
Esaltante.
Aiutato da due dischi usciti in questo periodo e da una replica, vista occasionalmente a casa dei miei mentre ero invitato da loro per cena, di “Cortesie per gli ospiti” mi lancio in una doppia recensione che è più un racconto che una recensione vera e propria.
(I riferimenti musicali sono da intendersi come punti di riferimento per individuare il genere e l’approccio nei due dischi indicati)
Parte prima:
LA SCENA DEL CRIMINE
Spllit “Spliit Sides” LP 2021, Feel It Records
Una odore acre di sangue raggrumato, di curry e sangue raggrumato per essere precisi, mi offende l’olfatto mentre mi avvio verso la porta principale della villa.
Alta borghesia, un giardino che sembra un parco pubblico. Tutto così delizioso, tutto così inumano.
“Hai portato un antiemetico? Ti servirà”
“No, in macchina ho ascoltato The Shape of Jazz to Come di Ornette Coleman, ho lo spirito rafforzato e ben predisposto verso ogni tipo di atrocità”
Il mio vice crede che il suo essere il mio vice sia un puro caso.
No, non lo è.
Entro nel salone principale: i corpi giacciono per terra, un puzzle anatomico disordinato nel suo ordine psicotico, narcotico, frenetico:
fatti a pezzi, ricuciti in stile cubista; braccia attaccate a culi e teste, telecamere attaccate a peni, vagine in luogo di obiettivi da ripresa, piedi in luogo delle mani, bulloni in luogo di gomiti, gomiti frantumati e usati come coriandoli. Il tutto è saldato, cucito, tenuto insieme col fil di ferro. Poesia. Arte. Una natività Mass Mediatica, un nuovo senso del sacro: cucina, tecnica, device, bon ton, acciaio. Dolore.
Dovevano girare una puntata di quel programma insulso su canale satellitare; una sorta di mix tra un programma di cucina, uno di buone maniere e un altro di interior design. Un mix.
Alla fine il mix lo hanno fatto tra concorrenti, conduttori, operatori e materiale tecnico.
Ci trovo un che di ironico in tutto questo.
Mi guardo intorno, guardo lo scempio.
“belle tende!” faccio al mio vice
“come ti possono venire in mente battute del genere?” fa lui scandalizzato.
“Ho solo un vissuto più interessante del tuo”
In effetti è così: Bologna, gli anni ’80, i Gaznevada, Freak Antoni, gli Stupid Set, i dischi dei Rip Rig and Panic della mia ex, C’est Disco dei Rats, quel dannato Ep dei Liquid Liquid di New York che non voleva lasciare il piatto, i Confusional Quarter, Frigidaire, Scozzari, Pazienza
…e poi, come Pazienza, l’eroina: quella polvere dannata che mi ha portato, dopo l’arresto sulla tratta Bologna-Firenze, ha entrare in polizia, non per vocazione ma per ottenere droga gratuitamente; se non li puoi sconfiggere fatteli amici, se vuoi ottenerne i privilegi approfitta dell’amicizia e diventa uno di loro. Eroina, Eroina, Eroina.
Il mio vice crede che il suo essere il mio vice sia un puro caso. No, non lo è.
“Commissario, venga a vedere!” mi grida un appuntato da fuori, in giardino (parco pubblico, dipende dal conto in banca)
Usciamo fuori. Sulla parete est della villa, qualcuno, probabilmente gli autori del misfatto, hanno disegnato, ovviamente col sangue delle vittime, un’ enorme A anarchica.
Un indizio, una rivendicazione o un depistaggio?
“una stronzata” penso tra me e me.
Rientro, do uno sguardo al giradischi:
Spllit “Spllit Sides”
“Mmmmm, questo si che è un indizio” penso. Cerco la copertina con la busta, la trovo, ripongo il tutto e lo porto via con me
“Requisito per ulteriori verifiche”
Parte seconda:
CHE SCHIFO!
Kiloff “Wyziew Tape” MC 2021, SYF Records
La fantasia di uno sbirro è sempre stata quello che poteva essere: mi spediscono da questo gruppo di immigrati cechi in periferia: palazzine di quindici piani, odore di cane bagnato, vecchi rottami di auto addobbano le corti interne, ho voglia di eroina.
Sono anarchici, dichiarati.
Avevo già aperto un fascicolo su di loro, l’operazione doveva chiamarsi “Sottoscala Pandemico”: una specie di indagine sui gruppi politici che, durante il lockdown del Marzo-Aprile del 2020, si erano ulteriormente radicalizzati e utilizzavano una piattaforma digitale chiamata Bandcamp per raccogliere proseliti.
Avevamo già inviato tre agenti sotto copertura per farli infiltrare nella particella e capire dove volevano andare a parare. Alla fine i tre agenti sono passati dalla parte degli anarchici cechi. Come non comprenderli?
Nell’ anfratto che questi individui utilizzano come base operativa qualcuno sta suonando il primo dei Suicide: i nostri tre contatti infiltrati sono passati dalla loro parte, come non comprenderli.
Le urla di Alan Vega in Johnny Teardrop accompagnano il mio ingresso nella stanza dove il gruppo è riunito, ci sono anche i tre ex sbirri. Sguardi in cagnesco, come non comprenderli, mosse di stizza, mostro il tesserino con il mandato di perquisizione
“Ma non mi dire!” fa uno degli ex
“A ciascuno il suo mestiere” rispondo con fermezza.
Inizia la perquisizione.
Mentre i miei frugano, maneggiano, rovesciano cassetti, ribaltano letti e mobili, sento il primo dei Suicide diventare Scatology dei Coil diventare The Feeding of the 5000 dei Crass diventare Throw out Rite dei Pankow e io mi sciolgo. Trovano anche il tempo per una fuga su Ornette Coleman, di nuovo, The Shape of Jazz to Come; così come era iniziata ora deve finire.
“Commissario, abbiamo trovato del materiale che riconduce all’omicidio in villa: saldatori, lacci emostatici, bisturi…tutto con del sangue raggrumato sopra! Scommetto che, a farlo analizzare, combacia con quello delle vittime!” mi fa il mio vice
“Falla finita, pitecantropo: tutti e due sappiamo che questa perquisizione è solo una mascherata! Quegli strumenti ce li state mettendo voi adesso, per incolpare questi attivisti! Diciamocela tutta: il loro unico crimine è quello di avere ragione!”
Il potere, per opprimere, sacrifica le sue personalità mediatiche per deviare la colpa su quelle sacche di resistenza che gli si oppongono.
Che schifo.
“Ma cosa cazzo dici?” mi fa il vice mentre, in volto, gli si dipinge quell’espressione ebete tipica del bambinetto beccato con le mani nella marmellata.
Che schifo.
Estraggo la pistola, gliela punto alla fronte. Faccio fuoco. Centro perfetto. Esala un’ultima flatulenza mentre toglie il disturbo da questo mondo.
Che schifo.
Vengo circondato dagli altri agenti. Gli anarchici, cechi e non, escono in fretta e furia. Come non comprenderli?
Faccio fuoco. Vengo crivellato. Cado al suolo. Un ultimo pensiero: tutto questo solo per l’eroina.
Che schifo.
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