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Rolling Stones: Rolling Stones “The raùlin stons, the raùlin stons...” e così che echeggia dal palco del Rock'n'Roll C...

Rolling Stones
“The raùlin stons, the raùlin stons…” e così che echeggia dal palco del Rock’n’Roll Circus, o del disco live GET YER YA – YA’S OUT!, il mito più longevo del Rock’n’Roll, parola che una volta, circa trent’anni fa, faceva tremare i polsi a tutti i perbenisti bigotti.

Era uno spasso vedere gente matura strabuzzare gli occhi e contorcere in una smorfia la bocca se portavi i capelli lunghi e un po’ ribelli. Ma non è vero, se eri un ragazzino carino piacevi invariabilmente, se invece eri brutto diventavi uno sgherro rock’n’roll. L’iconografia rock non è mai stata troppo rassicurante neppure quando di mezzo ci andava la frangia romantic rock, tutte quelle facce bianche truccate in modo femminile che spacciavano da tutti i pori incipriati new wave, capelli vaporosi laccati e look spaventevolmente space-wild-punk come usavano indossare i Sigue Sigue Sputnik, scellerati che hanno sparato in orbita giusto un paio di ragguardevoli missili. Rock è sinonimo di ribellione e di ‘bad young music’, è bene ripetere che il target adolescenziale è preponderante per lo sviluppo del morbo, l’epidemia rock purulenta come peste, che giusto in quell’età miete le sue vittime più succulente e all’apice del loro splendore, fisico e mentale. ‘E’ solo rock’n’roll, ma ci piace’, resta il tormentone coniato dai Rolling Stones dei seventies, che ne ha decretato lo status ed anche la sua decadenza a causa della smaccata dichiarazione di inutile ovvietà.
Da allora la tendenza a ribadire nuovi ritrovati, nuovi filoni, nuove formule e nuove waves, è stato l’ulteriore ritornello del rock che ha caratterizzato il suo unico e vero scopo, rinnovarsi sotto ogni forma stilistica e di pensiero, possibile e immaginabile, attraversando certamente periodi revivalistici ma adeguatamente aggiornati da tecnica e stile che il futuro porta inevitabilmente con sé.

Un altro fatto che ha ammosciato il trend è stato l’avanzamento progressivo e obbligato dell’età dei primi appassionati di rock (fans e musici) che usciti dal range giovanile si è spinto avanti, perdendo per strada sicuramente molti aficionados (e capelli), sino a raggiungere la veneranda età di ultrasettantenni prossimi a varcare gli ottanta. Elvis avrebbe oggi (8 gennio 2018) 83 anni!

E’ di ieri l’altro, 6 gennaio, la notizia pop dell’ottantesimo compleanno del rocker nostrano della prima ora, Adriano Celentano: il ragazzo della via Gluck, ancora in una certa buona forma, per quanto si può arguire, ha festeggiato un traguardo epico. Beh, che dire, tiriamo avanti.

Sappiamo tutti che la musica ha coinvolto masse di giovani e che in quella età acerba hanno sviluppato l’amore per l’ascolto dei loro beniamini e quello nel riprodurli a modo loro, pur approdando su lidi vergini e differenti dall’idea iniziale. Oggi con un pc è molto facile fare musica ed anche registrarla: lavorarci su ed improvvisare alla grande immettendoci passione e dedizione può far emergere tanto di buono; la possibilità di comporre seguendo note e suoni, anche per un solo individuo racchiudendo in un singolo essere l’esperienza di gruppo, è alla portata di chiunque. Grazie ai canali virtuali siamo invasi da tantissima musica e da artisti dediti a ciò. Una valanga di musica buona, beh dipende sempre dai gusti, è a disposizione di innumerevoli fruitori le cui diversificazioni in materia sonora sono quasi infinite: galassie di gruppi, artisti solisti, sottogeneri, correnti e via dicendo, inondano la Terra e i suoi abitanti, e la speranza di far soldi e di diventare famosi, soprattutto di essere ascoltati da un vasto pubblico, è all’ordine del giorno di ogni musicista o presunto tale. E quindi dall’urgenza di manifestare la propria passione, gusto ed idee attraverso la musica e le sue apparecchiature, si passa al tratto principale di riuscire a suscitare interesse e attenzione da parte di una cerchia di fans, gente che stima e avvalora il tuo lavoro comprando i tuoi dischi, venendo ai tuoi concerti, seguendo sui social le tue attività.
Il punto cruciale è quindi mantenere alta l’attenzione in qualche modo, tenerla costante e viva, creando un personaggio che abbia in sé qualcosa di innovativo, di eversivo, di tumultuoso, roba che faccia breccia nel sentimento dei futuri fans e generi lo status di STAR.

Qualcosa del genere è stato incarnato da David Bowie, egli ha saputo mettere e creare al servizio del suo cangiante talento una carovana di persone dello show business, artisti, produttori, promoters, groupies, costumisti, artistoidi, DJ, musicisti, vestendo diverse maschere che hanno raccontato storie e suoni diversi, cogliendo l’occasione propizia per distaccarsi da tutto onde accrescere il successo e il proprio tornaconto artistico ed economico (magari a discapito dei più stretti amici collaboratori). La strada del rock è costellata di personaggi furbi, moltissimi altri decisamente meno, che hanno capitalizzato e reiterato ciò che nel frattempo era diventata un’azienda di profitti: vedi la Rolling Stones Farm, che pure ha fruttato, specie agli inizi, enormi introiti a favore dei conticini reali della Regina… I Beatles furono addirittura proclamati baronetti per ciò.
Ma tutto passa e cambia nella gestione della cosa rock; quel che non dovrebbe mai essere chiesto al rock è di cambiare spirito, anima, filosofia, intenti, dove al di là di questi vi è uno snaturamento che tende a sviare dal contesto, cioè, il pericolo della musica commerciale plastificata che pur di acchiappare milioni di consensi deturpa aspetti genuini e tortuosi di una valida, sublime creazione.
E allora è il contesto a rimanere principe di ogni storia degna di lasciare il segno, così come l’origine della vita, che certamente ha avuto origine in un contesto chimico-fisico ideale. Tra miliardi di combinazioni che possono generare eventi memorabili e di “se” ipotetici pregni di sperimentazione o di innegabile oscurità misteriosa.

Ma dico io, agli Stones, dopo tutte le canzoncine inanellate sul filo delle mode e dei successi altrui, robe che graffiano quanto un gatto senza artigli, in questo fatidico anno, il 2018, che ancora li sostiene e proclama, ormai da 55 anni, come la band più grande al mondo di R’n’R, ricca, famosa, in buona salute e acclamata dai milioni di fans di tutte le fasce d’età, che ha attraversato pagine memorabili, epoche inimmaginabili, stravolgimenti culturali, rivolte sociali, scivoloni apocalittici, umili ricompattazioni, crisi di identità al limite del satanico, dove mito e show business si sono fusi alle droghe e ai sovvertimenti di moralismi, dove tristezza, felicità, disincanto, feste, viaggi, produzioni, film, documentari, gossip hanno scaturito la storia, come mai a questi soggetti luciferini non viene tutt’ora in mente di ravvedersi musicalmente? Perché non riabbracciare il puro e semplice spirito rock libertario e ribollente che ha elevato il loro nome ad icona di una filosofia che resterà incisa per sempre quale essenza non rassicurante?

E’ possibile che non sentano, non dico l’urgenza, magari portano anche i pannoloni sotto le mutande dimodoché neppure le funzioni corporali istintive possano turbarli lungo l’incedere regale delle loro esistenze, ma l’esigenza di pagare un tributo al mito del blues, del beat, del R&B, dell’assolo che ha costruito la musica rock, dei tribalismi e delle scene sensuali, intelligenti e svagandate, che buttarono fuori ai bei tempi in vena di qualità splendente, di suono e di grezza pura istintualità? Celebrassero se stessi andando controtendenza, rinnovando quel che erano e che ancora oggi istituzionalizza il loro mito. D’altronde gli Stones vengono ricordati per i classici del passato, stessi loro sono un classico; le loro bandierine da cocktail sono state conficcate in ogni cuore laddove vigeva un sistema linfatico e nervoso atto a recepire il feeling del soul sviscerato ad alta intensità sensibile; ma queste non sono banalità gettate al vento tanto per sputtanare ancora questi dinosauri del rock che dovrebbero saperne una più del diavolo in materia.

Cosa sto dicendo, devo essere impazzito?!
A saperne una più del Diavolo, è risaputo in modo proverbiale, sono le donne. E quindi la conclusione di tanta arrendevolezza creativa è la mancanza della componente femminile nella vita artistica degli Stones, non a livello fisico, quanto a livello ‘spiritual’, tale da consentire di soffiare la vita persino nelle macchine e negli oggetti: magia.
I Rolling Stones non credono più di essere dentro i loro corpi, perché le loro menti hanno fabbricato bugie che miravano a gratificare solo i corpi, godere dei beni primari materiali, chiudendo nelle loro gabbie cerebrali la voce dei sensi dovuti all’anima, i quali notoriamente sono free, cioè, liberi; infatti la libertà è donna.
La musa ispiratrice non può essere imprigionata.
Fare le cose è un conto, ma sapere come devono essere fatte a modo è un altro.
E allora un ultimo desiderio, riallacciare se non i fili dell’anima free, almeno ricollegare i fili elettrici della fulminante passione: il desiderio.

Rifare cerchio sabbatico in un luogo insospettabile per registrare un verace capitolo; come carbonari incontrarsi segretamente in uno studio sotterraneo raggiungibile dall’altro lato dell’isolato metropolitano attraverso cunicoli; riassaporare la clandestina sensazione di essere fuorilegge, di sabotare l’aspetto sano della creatura Stones, drogandola di blues, alcolizzandola di rock, asciugandola di melensaggini strappalacrime, rinforzandola di pianoforte honkytonk e da spaccio di ghetto nero di campagna proprio dei raccoglitori di cotone; attraversare con i sensi tutte quelle immagini che hanno inciso un capolavoro nelle menti umane: e becchiamoci PAINT IT, BLACK in piena fronte (by Jagger, Richards, Jones).

Ma non voglio che i Rolling Stones facciano un disco di blues ad onor di firma, voglio che questi ragazzacci di settanta anni sfidino il mito, scrivano col sangue dell’anima e del cervello una pagina all’altezza del mito, appropriandosi del contesto odierno, degli sviluppi assurdi della politica estera, della ottusità generalizzata generata in un mondo governato dalla possibilità di non essere stupidi, che lo diano un calcio nei coglioni alle stronzate che ci fanno piovere in testa da tutte le parti, che spianino una luce trasgressiva nel prendere a calci persino i loro culi secchi e avvizziti. Che non portino nella tomba il selvaggio spirito su cui hanno prodotto ed edificato il mito, che ricreino il contesto figlio di  scelte consapevoli, seppur bizzarre, ma rabbiosamente free; perché, cazzo, ci deve essere ancora qualche ragione che li faccia incazzare e orientarli a scrivere testi e musiche proto-immortali.

Detto questo si potrebbe mirare a scrivere un bel romanzetto che narri la vicenda dell’uomo che riscopre di avere un’anima sputando il rospo che per troppo tempo ha tenuto ingoiato evitando in quel turpe modo di non cacare mai più fuori dalla tazza e chiudersi in una saggia sicura botte di ferro. Eccoli là, i contenutissimi Stones (Cool, Calm & Collected), proprio un esempio di virtù ribelle e dionisiaca, già. Minchia, accendete un raudo, scoppiate una miccetta, stappate in pubblico un bottiglia di Dom Perignon, fate un botto col dito in bocca anticipato da un irriverente fischiettio, accendetevi una sigaretta in un pub, bestemmiate dal pulpito in Hyde Park: siete dunque fatti di cartongesso? Bambolotti con le batterie nuove inserite dietro la schiena che vanno a suonare pezzi che cantavano quando erano minorenni? Non è forse un controsenso inneggiare on stage ai giovanili successi incendiari e poi comportarsi da nonnetti dileguati nelle beghe familiari e nei gomitoli di lana da sferruzzare una volta scesi dal palco?

Uscite fuori warriors, come out and play, Stoneeessss!!!!

E però ne abbiamo letti tanti di libri, i temi più svariati, i film più assurdi, cronache quotidiane che superano la fantasia, pazzie contagiose, malattie mentali riprodotte in serie, contorsionismi politici aberranti, povertà, paure, perdite di dignità, gente venduta/svenduta allo sbando, altra che lucra sulle disgrazie altrui, e poi ancora slavine di musica sulle nostre teste, ragazzi e adulti che sfidano il pentagramma ogni giorno sino a sputare sangue, lavorando duro, esorcizzando la miseria, animando speranze e rispecchiate sull’altro lato della strada visioni di azioni, di cambiamenti e di lotte contro il dinosauro che ci ha bacato le menti rispolverando l’antica profezia di Huxley, e sopra tutto ciò un bel niente, un niente di fatto: gli Stones non si sbilanceranno mai più, si faranno reggere il moccolo per l’eternità, privandoci del piacere di produrre persino un falso d’autore (che pure sarebbe apprezzatissimo e da premiare con un Oscar).

Smetto di credere che chi ha il pane non abbia i denti, basta con questo sfigato cliché, perché anche se finti i loro denti hanno comunque dell’eccezionale, sono d’oro platinato, e i soldi, con i tanti soldi che hanno in banca, ne siamo certi, potrebbero ricomprarsi persino l’ispirazione perduta tra una decade e l’altra, tra un matrimonio, un amore e una falsa eredità.

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