Non vi capita mai,dopo aver ascoltato tonnellate di garage,punk o hard-core,di voler staccare la spina?
Di aver bisogno di un’oasi di quiete,di dita che scorrono sulle corde della chitarra disegnando accordi che sembrano prendere vita in quel momento?
Dato che so che vi capita,e neppure troppo di rado,ecco il disco che fa per voi.
Robin Grey è al suo secondo album, nonostante non sembri proprio,è inglese,per l’esattezza di Londra,ed ha una gran voce; il suo disco è intimo ma non triste,malinconico ma non noioso,insomma è un gran bell’album tutto da gustare.
Oltretutto il nostro non è affatto solo in questa sua fatica,ma è accompagnato da ben otto elementi,fra i quali spiccano tre voci femminili,tutte molto belle,che lo coadiuvano in maniera davvero mirabile.
Le sue fonti d’ ispirazione,per nulla celate,sono Bob Dylan e Leonard Cohen,si veda la programmatica “I love Leonard Cohen”, il cui testo (comprensibile anche ai meno avvezzi all’inglese) è carico di ironia.
A questi due mostri sacri ne aggiungerei un altro Neil Young,si ascolti per conferme “Montreal” (sarà un caso?),un pezzo che avrebbe fatto la sua porca figra su di un capolavoro come “Harvest”.
Dopo D.O.A. e Link Protrudi ho bisogno di un po’ di sano intimismo e questo è il disco che fa per me e che ,sono sicuro, fa per molti di voi.