Il terzo disco dei libanesi Kimaera mostra un approccio leggermente diverso rispetto a quello esibito nelle uscite gothic-death doom che si sono succedute negli ultimi tempi.
Non so quanto ciò possa derivare dall’inevitabile isolamento dal punto di vista musicale che affligge, per una lunga serie di ovvi motivi, le band che decidono di dedicarsi al metal nei paesi mediorientali, di certo l’ascolto di The Harbinger Of Doom ci riporta piacevolmente ad atmosfere e sonorità risalenti agli albori del genere, quando realtà ancora esistenti ma planate verso altri lidi musicali, come i The Gathering, o sfolgoranti meteore, come i Decoryah o i Moon Of Sorrow, individuarono un’alternativa melodico/sinfonica alle più cupe sonorità offerte all’epoca da Anathema e My Dying Bride.
Il lato positivo di questa operazione è che il rimando ad un sound del passato non risiede tanto nella struttura compositiva, quanto nella resa finale dell’album, contraddistinta da una produzione piuttosto asciutta e dal tocco decisamente vintage conferito agli strumenti, in particolare alle tastiere.
Non c’è dubbio che il disco mostri talvolta qualche piccola imperfezione, tipo una voce femminile non sempre all’altezza e qualche ruvidezza di troppo durante i passaggi più aggressivi, ma non si può fare a meno di apprezzare la spontaneità , seppure un po’ naif, che traspare da queste note.
Inoltre va detto che, rispetto alle uscire precedenti, il livello dei Kimaera si è decisamente innalzato, sfrondandosi da eccessivi orpelli gothicheggianti per approdare ad un suono maggiormente focalizzato alla creazione di atmosfere drammatiche, seppur contraddistinte sempre da una certa pesantezza di fondo.
The Harbinger Of Doom, dopo una serie iniziale di brani dall’impatto piuttosto robusto, anche se mai privi di una considerevole componente melodica, decolla letteralmente verso la fine, a partire da Claim The Dark , dalle pregevoli progressioni chitarristiche parzialmente offuscate da una conclusione affidata a una female-voice piuttosto anonima.
Ancora meglio, quindi, l’intensità mostrata in Blood Of Saints e nella successiva, nonché picco assoluto dell’album, Aged Wine and Woe , capace come la traccia precedente di catturare l’ascoltatore grazie a melodie avvolgenti e ricche di pathos, decisamente all’altezza delle espressioni migliori in campo gothic-doom.
Un discorso a parte lo merita l’episodio che chiude l’album, ovvero la cover di uno dei brani simbolo degli Anathema, Lost Control, tratta dal loro capolavoro “Alternative 4”. Riallacciandomi a quanto espresso nelle prime righe di questa recensione, appare evidente quanto i Kimaera finiscano per suonare questo brano come se la band inglese l’avesse inciso ai tempi di “The Silent Enigma” e non successivamente , quando ormai Vincent Cavanagh aveva abbandonato qualsiasi ruvidezza a livello vocale e lo stile stava per svoltare irreversibilmente verso una più soffice e suadente psichedelia.
Ebbene, la band libanese esce benissimo dall’impegnativo confronto, con tanto di approvazione da parte di Duncan Patterson, autore del brano, fornendo un’interpretazione superba e arricchendo Lost Control di un’enfasi drammatica creata dall’ottimo growl di JP Haddad e dalla chiusura affidata al violino di Milia Fares.
Nel tirare le somme, al netto di qualche ingenuità di troppo e del suo fare riferimento a modelli che qualcuno può ritenere sorpassati, The Harbinger Of Doomè un album riuscito e che si lascia ascoltare più volte senza provocare a lungo termine sensazioni negative, restando così appetibile per chi certe sonorità le ha vissute in presa diretta e le conserva sempre nell’angolino di un cuore che batte il ritmo bradicardico del doom …
Tracklist:
1. Ancient Serpents
2. Daughter of Eve
3. Praising My Pain
4. The Harbinger of Doom
5. A Casual Stray
6. The Script of Sorrow
7. Claim the Dark
8. Blood of Saints
9. Aged Wine and Woe
10. Lost Control (Anathema cover)
Line-up :
JP Haddad – Vocals / Guitars
Pierre Najm – Lead Guitars
Wissam Abiad – Bass
Simon Saade – Drums
Milia Fares – Violins
Charbel Abboud – Keys